tipica commedia francese leggera e agrodolce, non dice molto di nuovo e - forse proprio per distinguersi - gioca un po' troppo con le bacchette magiche, ma nel complesso è abbastanza ben fatta e sicuramente godibile dall'inizio alla fine.

Leoscarax, che ci regalò anni fa Gli amanti del Pont Neuf per poi scomparire alla vi(s)ta, aveva probabilmente nostalgia del proprio stesso cinema o della propria stessa vi(s)ta, e ha pensato bene di porvi rimedio facendo ana sorta di collage di pezzi di cinema altrui. Holy Motors mi è parso essenzialmente questo: un insieme di rimandi e citazioni, pretestuosamente collegati tra loro da una limousine bianca e furbescamente ammantati di un sintomatico mistero che darà certo modo, a chi ne avrà voglia, di esercitarsi in interpretazioni e riflessioni. c'è Kubrick e c'è Escher (la simmetria dei coltelli alla gola mi ha ricordato le due mani che si disegnano a vicenda), c'è addirittura Matthew Barney, e va da sé che sia più interessante di Fast&Furious, ma un valido contributo personale del regista si stenta a individuarlo, e per me il vero mistero è come da cotanto materiale sia potuto nascere un film che ho percepito più che altro come faticoso, fastidioso e inutilmente pretenzioso.

non è il monumento alla mitica Jeanne Moreau tutto basato sulla mitica Jeanne Moreau e basta, con poca cura per tutto il resto, che mi aspettavo. se è lei a dominare il quadro, con la sua solita verve (e nessuna meglio di lei, per un personaggio come Frida), le estoni a Parigi sono due a tutti gli effetti, e altrettanto spazio ha il più delicato e articolato personaggio interpretato dalla Magi, la cui bravura mi ha colpito anche di più, specialmente all'inizio del film (forse perché quella di J.M. è del tutto scontata). la sceneggiatura però non è il massimo, quello che accade è messo lì un po' così, e per dargli un senso bisogna rifletterci un attimo, perché le emozioni - non "agganciate" - non aiutano.

perfido e spietato, un po' park-chan-wookiano o kim-ki-dukiano, è una sorta di anatomia della violenza prima ancora che della vendetta, in cui il chirurgo - servendosi di una sceneggiatura a orologeria, di una regia e di un montaggio originali e vivaci, di una splendida fotografia, di luna colonna sonora perfetta e usata anche lei in maniera originale, e di ottime interpretazioni - continua a scoprire strati su strati di carne viva (ma che valore ha, poi, la vita?), uno dopo l'altro, ancora e ancora, anche quando si sarebbe giurato che il precedente fosse l'ultimo, senza saziarsi mai. forse verso la fine c'è qualche minuto e qualche compiacimento di troppo, ma è proprio un voler andare a cercare il pelo nell'uovo. consigliatissimo.

buono ma non esageriamo, è molto interessante e di sicuro, perché il gioco è sottile e ricco di implicazioni leggibili a più livelli, ma il professore è poco più di una macchietta che straparla a vanvera e l'intensità e la fascinazione che emanano dallo sguardo del giovane affabulatore non suppliscono a una messa in scena priva di particolari guizzi e in fondo un po' banalotta. sopra la media ma purtroppo non quanto avrebbe potuto.

film a suo modo coerente: se il primo tempo fa venire il sospetto che sarebbe stato meglio farsi qualche ora di sonno, il secondo, dopo un breve attimo di esitazione, lo conferma con veemenza. insulso e malfatto, ha come suo passaggio fondamentale quello dal tendenzialmente soporifero al definitivamente ridicolo. qualcuno dia delle pillole a Soderbergh.

un bel noir, molto ben fatto e anche abbastanza originale, e con almeno un paio di scene da ricordare. teso, complesso e permeato da un'atmosfera realmente nera, in cui le facce imperturbabili di Kassovitz fanno da perfetto contrappunto a quelle più o meno sottilmente stravolte, allarmate, di Auteuil, forse non passerà alla storia ma mi è piaciuto parecchio e lo consiglio senz'altro.

impressionante come Hopkins smetta di essere Hopkins e si trasformi in un credibile Hitchcock, ovvero come un attore ormai entrato anche lui nella storia del cinema riesca a farsi completamente da parte per lasciare davvero la scena al personaggio che interpreta - una lezione di recitazione da far guardare e riguardare soprattutto ai tanti attorucoli nostrani che qualsiasi ruolo gli dai non fanno che mettere in mostra se stessi - e brava anche la Mirren. il film scorre e indubbiamente dato il soggetto è più interessante di altri, ma scorre più come l'acqua fresca che come il memorabile omaggio che il maestro del brivido avrebbe meritato. mi pare che sempre più spesso quando il soggetto è garantito, e dunque è garantito l'incasso, sia garantito anche che chi lo mette su pellicola non ci si impegni più di tanto - si sfornano "prodotti", spesso anche buoni per carità, ma l'arte è un'altra cosa.

l'inizialmente incerta e via via sempre più convinta, quasi precipitosa trasformazione di una donna in se stessa. il potere della parola che, da sola, coraggiosamente, apre un varco sorprendente e dirompente tra i muretti e le murature di una piccola porzione di un Afghanistan paurosamente retrivo, imbalsamato nel Corano, che all'individuo nega non solo i diritti fondamentali ma l'esistenza stessa e che tuttavia - o meglio proprio per questo - potrebbe essere in realtà qualsiasi altra parte del mondo. bella e brava la protagonista e bellissimi i colori che, man mano che la storia procede, sempre più hanno la meglio su tutta quella povere. forse è un po' poco articolato, come semplificato, e non gli manca qualche ingenuità, insomma non è eccezionale come avrebbe potuto essere, ma funziona bene lo stesso, e l'unica cosa che gli è venuta davvero male è l'ultima scena.

ben recitato e ben fatto e curato da ogni punto di vista, dinamico e ricco di storie e sfaccettature, raramente privo di retorica e realisticamente aperto al dibattito, e con appena un paio di scene un po' fuori registro. è soprattutto splendida, molto naturale e insieme piena di verve, la recitazione della van Houten, di cui ci si innamora dal primo istante e da cui ci si lascia condurre assai volentieri per le due ore e oltre del film, che davvero volano via e si vorrebbe che continuassero. l'ho visto due giorni fa in tv e oggi lo ridanno, e per una frazione di secondo ho persino preso in considerazione l'ipotesi di rivedermelo.

bello il fatto che è parlato poco, e belli e bravi i due attori a renderlo possibile, mi sono piaciuti soprattutto quando vanno in bicicletta. la scontrosità di lei è un po' troppo accentuata e insistita, forse perché su di essa si suppone che possa reggersi per intero tutto il film, il quale invece se si fosse retto anche su qualche altra cosa sarebbe stato più bello. insomma niente di eccezionale e in realtà di nuovo, ma comunque un buon film.

sciatto e povero di inventiva e non solo, sia visivamente che come sceneggiatura, rispetto a quello che Almodovar avrebbe potuto fare, e tanto da non poterlo giustificare neanche pensando a questo film come a un leggero e spensierato divertissment con cui il regista ricorda al pubblico e probabilmente a se stesso - con nostalgia e con non poco coraggio, adesso che il suo target è il grande pubblico - quali sono i suoi esordi e le sue passioni (insospettabilmente esplosivi, per chi non li conoscesse). ma è sempre un film di Almodovar: c'è stile, c'è ironia, e soprattutto c'è quel non so che - mi viene quasi da chiamarlo "amore" - che ti fa immancabilmente affezionare ai personaggi (e agli attori, più o meno soliti e come al solito bravissimi). consigliato ai fan sfegatati come me, sconsigliato a chi del regista abbia apprezzato soltanto e magari a stento le più note e più composte opere, vietato a chi la conoscenza di questo questo geniaccio pasionario volesse cominciarla da qui.

gli argomenti non gli mancano: il matto più sano dei sani, il potere taumaturgico dell'amore, la famiglia conflittuale ma insostituibile, la passione del football che divide ma unisce, la gara di ballo e - ciliegina sulla torta - i negri col ritmo nel sangue. filmetto valido per un veloce ripasso di tutto ciò che era stato già detto - generalmente molto meglio di così - non è altro che la solita commedia americana di bassa lega, senza arte né parte, e se davvero ha qualcosa di indie, beh, allora dovrò ricomprarmi gli occhiali. salvo la Lawrence che tra l'altro mi ricorda vagamente Juliette Lewis, ma il film l'ho visto ieri e già non mi ricordo altro.

non ha grossi difetti e si fa vedere, ma non dev'essere stato facile per una come la Bigelow - il cui The Hurt Locker aveva tutt'altra consistenza - fare un film così indolore, incolore e insapore, e a partire da un tema così sapido. quello che è interessante - e che ha quasi dell'incredibile - è proprio vedere con quanta disinvoltura si possa trasformare uno degli avvenimenti più importanti e controversi della storia recente nell'ennesimo action sull'ennesima eroina che lotta contro tutto e tutti in nome della giustizia. una cosa che agli americani siamo abituati più o meno a perdonare, ma che nel caso specifico risulta piuttosto inquietante, se si pensa a tutti i dubbi e a tutte le cose poco chiare, dalle quali, ancora una volta, la più grande superpotenza del mondo sembra avere tutta l'intenzione di distrarci...