commediola leggera e piacevolissima, curatissima e veramente deliziosa in ogni particolare come solo Allen sa fare ma non molto alleniana, almeno in apparenza. il fatto è che, pur sapendo di "esporsi con ciò alle nostre critiche", il re del cinismo con questo film confessa sinceramente di aver scoperto di "essersi sbagliato". non del tutto, per carità - dio non esiste e non c'è verso di trovare un idraulico la domenica pomeriggio, con i fondamentali non si discute - ma abbastanza da provare a fare a meno della costante caustica che a un certo punto e in qualche modo in effetti va pur superata. Woody è il mago furbetto con gli occhialetti e insieme è (o forse vorrebbe essere) l'elegantissimo Colin Firth, che scopre che dopotutto, e in ogni caso, un cielo stellato può anche essere romantico, anziché minaccioso - davvero si può criticarlo per questo?

il tema scotta e il film si fa vedere grazie a un montaggio abbastanza teso e a qualche bella inquadratura soprattutto delle ipnotiche strade di L.A., ma non convince più di tanto, gli manca la scintilla, ed è una cosa che a parer mio non ci si può permettere quando ci si prende la responsabilità di riprendere o addirittura portare oltre discorsi e personaggi che hanno fatto la storia del cinema. anche Jake G., che spero sempre faccia il salto, fa invece quasi quasi un passo indietro, e anziché entrare come si deve nel personaggio indossa uno strano cerone marrone e dei buffi occhietti tondi, finendo per somigliare più che a uno scoppiato metropolitano a un impostore truccato male. tutto sommato sorvolabile.

ben orchestrato ed esilarante inno alla vendetta in sei movimenti: in un crescendo irresistibile, si arriva all'ultimo splendido valzer non solo divertendosi assai e ricordandosi come e perché si gira e si recita un film ma, diciamolo, prendendosi per interposta persona anche qualche bella soddisfazione! fantastico l'uso di certe musichette e palpabile la presenza di Almodovar, il quale - per inciso ma per prima cosa - invita gli stolidi stroncatori di professione a salire su un nuovo aeroplano... ;)

c'è qualcosa che non funziona bene in questo film, forse un problema di "traduzione" culturale che rende difficile individuare il come e il quando il registro drammatico prende inevitabilmente la sua piega grottesca. però tra la gestualità, soprattutto di lei, che è una stranissima danza, e la faccia di lui, come ammaccata dalla consuetudine della sua spregevolezza, io l'ho comunque guardato con interesse, e il finale lascia di stucco e dice tante cose.

Melbourne non è una noiosa "pellicola iraniana", ma un tesissimo thriller drammatico di gusto e portata universali - un più unico che raro punto di intersezione tra le recenti interrogazioni di Una separazione e l'inquietante lascito dell'hitchcockiano Nodo alla gola. l'attrice principale non sa recitare, ma è l'unico neo, tutto sommato perdonabile, di un film così ben congegnato e pregnante da sembrare tutto tranne un'opera prima. chapeau.

un film di spionaggio non molto originale e con comprimari che decisamente non spiccano per abilità recitative ma, anche al di là del fatto che per una volta la trama è comprensibile e che Amburgo è bellissima, è, come dire, struggente? vedere un Philip Seymour Hoffman che, al suo ultimo film, cerca di tenersi a galla nel mare di brutture dell'esistenza annegando nell'alcol... r.i.p.

un ragazzino, cresciuto da una bestia tra le bestie e già ben avviato anche lui, non può più soffocare la propria natura umana e - nonostante il divieto del suddetto padre, il rischio di perdere il quale è il rischio minore - si comporta di conseguenza. il film è tutto qui: una giacca a vento rossa e blu che va in giro tra detriti e calcinacci e che a un certo punto cambia "direzione". non ne fa un dramma (lo è già), non sta lì a macerarsi tra le (già) macerie, né diventa chissà che paladino del bene: fa quel che va fatto e basta, da quel povero cristo (bambino) che è prende su di sé il male del mondo perché semplicemente non può fare altrimenti. solo due volte ride, lo fanno ridere - è l'apice della crudeltà, e come ci si sente non si può dire. dardennismo puro, primordiale, piccolissimo ed enorme, inguardabile e meraviglioso.

la battaglia tra parole e immagini non è molto più che un pretesto per mettere in scena il classico scontro-incontro tra un lui e una lei dotati di quel che si dice un bel caratterino, e non mancano cliché e ingenuità, prima fra tutte la rappresentazione un po' idilliaca, benché sempre interessante, del sistema scolastico USA. lo scontro-incontro però è più gustoso del solito, più guizzante e più sentito, e la caduta libera del genere "commedia sentimentale" sembra quasi arrestarsi per il tempo di un film. Binoche meno sorprendente che in Sils Maria ma comunque molto più presente e più brava di quel che ricordavo, Clive Owen bravissimo e in partissima e (questo sì sorprendentemente, almeno per me) da innamorarsi.

il copione di una nuova pièce da provare e riprovare si insinua come un serpente tra i vialetti di montagna percorsi zainetto in spalla e avvolge tra le sue spire sempre più strette due donne, o meglio due (bravissime) attrici, o meglio ancora i multipli di due che nel gioco di specchi e incastri ne derivano - ecco cosa succede a recitare sul serio. gli anni e l'esperienza della maturità conferiscono alla Binoche una pienezza fisica tutta nuova che sorprendentemente diventa presenza scenica, completezza, emozione a tutto tondo, peso.
p.s. consigliato soprattutto a chi era rimasto deluso da quel Molière in bicicletta che forse avrebbe voluto anch'esso serpeggiare ma che si ritrovava invece a muoversi su inadatte e inautentiche ruote.

per come la vedo io, Christopher Nolan è partito da un pianeta originario in cui la vita era molto affascinante ma rischiosa, ha esplorato pianeti e galassie avventurosamente ma faticando a trovare un assetto e a mantenere una rotta, ed è ora atterrato sul suo pianeta di destinazione: quello di un regista decisamente superiore alla media che non sarà il Genio che tutti continuavamo ad aspettarci ma che è in grado di fare, oggi, un film di fantascienza come si deve. probabilmente qualche astrofisico potrà storcere il naso, ma a noi comuni mortali le quasi tre ore di un McConaughey enorme, di teorie e peripezie spaziali e di robot a tasso di ironia variabile volano come da un wormhole, e per quanto mi riguarda me sarei rimasta volentieri un altro po'.

interessante e complessivamente ben fatto, con una bella regia, ma non direi molto altro. nonostante l'esigenza evidente di relativizzare e complessizzare, le figure e le immagini che scorrono sullo schermo risultano all'opposto piattamente stereotipiche (il professore inspiegatamente iperrigido che naturalmente ha una nuca assolutamente nazi, la studentessa inspiegatamente ipersensibile che guarda caso ama Mozart, etc). possiamo chiamarle archetipiche, invece che stereotipiche, ok, ma a quel punto vien fatto di notare che maneggiare archetipi non è cosa da tutti. forse insieme a Mann bisognava scomodare Nietzsche, non lo so, ma so che riuscire a rendere poco coinvolgenti le vicissitudini di un gruppo di adolescenti non è necessariamente un motivo di orgoglio, e che la razionalità granitica di certe scelte di rigore - nel fare film come nell'insegnare in un liceo - non può di per sé far gridare al capolavoro.

superata la prima parte strappalacrime - il modo peggiore di raccontare e quindi anche di denunciare qualsiasi cosa - il film comincia a scorrere, non particolarmente ma sufficientemente bene e in crescendo, e inaspettatamente il suo perché ce l'ha non tanto nel narrare i fatti quanto nel seguire l'evolversi del rapporto dei due protagonisti, tra loro e con i fatti stessi. pretendere quantomeno delle scuse o perdonare? e perdonare in che senso? "dev'essere... estenuante" dice Dench a Coogan verso la fine... P.S. sospetto che l'ironia sarebbe stata più sagace se ben tradotta in italiano, consiglio quindi v.o.

questo film è splendido e perfetto e ricco e buono come i dolcetti Mendl con cui costantemente ci lusinga. tra maestosi picchi alpini e ospiti improbabili di un improbabile hotel, tra sogno e realtà, tra ironia e umanità - quelle che, intrecciandosi, generano quella leggerezza rara che permette a quel funambolo di Wes Anderson di percorrere grandi distanze cinematografiche ad altezze vertiginose - ci regala ancora un'altra esperienza alla lui, meno carica o perlomeno più equilibrata della precedente, e più che godibile direi gustabile, o meglio ancora da leccarsi i baffi. personaggi tutti azzecatissimi e bravissimi che già da soli sono uno spettacolo, Ralph Fiennes calato nella parte come in un guanto.

una roba inutile e povera, che non sa né di carne né di pesce, e la cui originalità è pari a zero se non per le modifiche della trama che francamente mi sono sembrate, per come sono trattate, più becere che altro. di alberi parlanti e fatine svolazzanti non se ne può più, le tre fate cercano di strappare al pubblico qualche risatina ma non ci riescono, e quasi tutti i personaggi (il corvo! il principe!) hanno delle facce da telenovela. viene da chiedersi che ci faccia là in mezzo Angelina Jolie, e la risposta è che se non ci fosse lei nessuno rimarrebbe in sala. sconsigliato sicuramente agli adulti, ma anche i bambini credo che abbiano di meglio da vedere.

pervaso dalla meravigliosa e intollerabile malinconia, e nello stesso tempo dalla grazia e dall'eleganza, di chi, con occhi e mani che hanno vissuto per secoli, vede e sente il mondo per quello che è - e nonostante questo continua a regalargli quartetti d'archi e opere teatrali, e soprattutto continua a osservarne e ad amarne ogni piccola o grande bellezza... - questo film di Jarmusch è per me tra i suoi più belli in assoluto, e in assoluto tra i più belli del genere (che è un po' il genere di quella Miriam che si svegliava a mezzanotte... ma anche no). meravigliosa la Swinton (ma anche tutti), atmosfere e fotografie e musiche indimenticabili, come indimenticabili sono i volti deformati dall'intensa gioia di quei pochi attimi...

un pazzo sembra, questo Locke, che pure ha semplicemente deciso di fare quel che va fatto, e la sua notte rasenta il delirio o, come qualcuno certamente penserà, l'idiozia. "tutto andrà bene, perché è così che deve andare", arriva a dire (più o meno) a un certo punto. esperimento di notevole messaggio e, nel suo mettere in scena esclusivamente una persona alla guida di un'automobile, ottimamente riuscito. ma, appunto, più esperimento che film.