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Danimarca, nella tenuta di campagna fervono i preparativi della grande festa per il sessantesimo compleanno di Helge, fiero patriarca della famiglia. Tutti gli inviti sono stati spediti e le macchine affollano il cortile del castello. Helge chiede a Christian di tenere un discorso in memoria di sua sorella gemella Linda suicidatasi l'anno prima. Scende la sera e Christian si prepara a tenere il discorso, e che discorso! |
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Camera rigorosamente a mano, sguardi sgranati e tagli quando meno te lo aspetti; al suo secondo film, Thomas Vinterberg, allievo di Lars Von Trier, firma un resoconto di una cena delle “beffe”, la cronaca di un “calvario”, quello di un padre, che alla fine è molto più che sconfitto, annientato, annullato come figura di autorità ma anche come essere umano.
"Festen", nel raccontare la celebrazione in grande stile del sessantesimo compleanno di un patriarca dell’alta borghesia, devastato dalle accuse di pedofilia e di provocato suicidio d'una figlia rivoltegli pubblicamente dal primogenito nel corso della cena, ci invita a godere della vergogna altrui. Nessun “punto di vista” per un uomo il cui peccato originale è forse quello di essere un idolo da infrangere.
Vinterberg adopera con i suoi personaggi, così ipocriti, così volutamente sordi alle realtà sgradevoli, così meschini quando irridono il fidanzato di colore di una delle figlie, una cattiveria cosciente, una “violenza” che scalfisce la personalità di tutti i protagonisti.
Primo film ad essere fedele al manifesto conosciuto come Dogma 95, “Festen” colpisce soprattutto per la sicurezza della messinscena, l'ottima direzione del cast, la padronanza della cinepresa a spalla, in complessi piani sequenza, che penetra come un ospite indiscreto in un “rito” collettivo che non tarda a divenire un vero e proprio teatro di guerra nel quale ciascuno indossa la propria maschera sociale.
La festa come occasione di resa dei conti, processo autodistruttivo, momento nel quale la verità affiora, situazione “risolutiva” capace di dar corpo ai fantasmi psicologici e sociali e fare uscire gli scheletri dall'armadio.
Un piccolo ricordo di Bunuel, nello spirito anarchico che anima questo ritratto di borghesia in interni, qualche somiglianza con quel gettarsi avanti a "testa alta" che portò Bellocchio a realizzare "I pugni in tasca".
Di Von Trier, non molte tracce, se non nella fotografia "povera" e a dominante gialla, come in "The Kingdom" e in quella camera a mano così "agitata", che ricorda "Le onde del destino".
Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes (1998). |
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La trovata della camera a spalla è un’idea illuminante solo a tratti; anche gli altri punti del “Dogma 95” – il manifesto che scandiva le regole da adempiere facendo cinema – spesso lasciano perplessi (nonostante vengano lievemente infranti, qua e là). Regia discutibile, dunque, ma grandi sono le interpretazioni, abilissime a rivelare tutta la schizofrenia e le complessità annose della famiglia. E grande è la sceneggiatura, che con vigore e senza edulcorare tratta temi scottanti come la pedofilia e l'inconsistenza dell'alta borghesia (quest’ultima fatta letteralmente a pezzi, nella pellicola di Vinterberg). Sono palpabili, infine, i germi del successivo Melancholia, del compagno Von Trier.
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Vinterberg non gira intorno agli argomenti scomodi ma vi affonda dentro con un coltello lungo un metro. Non ha paura di fare emergere dagli abissi più profondi della coscienza i mali che vi si annidano, le cui origini sono, come sempre, da ricercare nell'infanzia. La nuda verità viene rivelata dopo lunghi anni di (apparente) corresponsabile silenzio. Questo si verifica nel corso della celebrazione del sessantesimo anno del capostipite interrompendo e lasciando interdetti per un attimo, giusto il tempo di riaversi dalla sorpresa, i convitati della facoltosa famiglia danese. Dopo, la festa riprende, nel clima di superficiale ipocrisia e banale convenzionalità. Ma non sarà più la stessa. Il mito della famiglia è "felicemente"(concordo con Ale84) corroso dalle fondamenta; in essa si nascondono la corruzione, il disagio, la malattia, la colpa, la falsità, nessuno ne uscirà indenne, la normalità è fuori, nel personale dell'albergo, negli ospiti esterni. Film che non si dimentica facilmente.
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