Colonna sonora imprescindibile per chi è cresciuto col blues e nel blues. Ma, come si afferma nelle quattro righe, il tutto manca di ritmo ed energia, sconclusionato e senza scopi, irrilevante.

Wong Kar-Wai riesce, come pochi, a fare film sentimentali con tanta poesia e delicatezza. Accade anche qui, semplice chicca degli anni '90. Quanto è dolce, a suo modo la seconda storia. E quanto riempiono, California Dreamin e Dreams, così alte nelle casse. Una vibrazione continua.

*Valéry, non Verlaine

Miyazaki lascia il cinema con un film tanto dolce e tanto poetico. Del resto, cos'è più poetico dell'idea dell'uomo che si erge, si eleva, sfida la gravità e sale in cielo, vola? Cos'è più poetico del verso di Verlaine, che dice "si alza il vento, bisogna tentare di vivere"? Cos'è più poetico della montagna incantata che cura, lenisce, profuma?
Film serio, pacifista, dal finale onirico per nulla scontato: niente tarallucci e vino, niente "vissero felici e contenti". Addio Miyazaki. Maestro.

Lento, taciturno, inedito, quasi agghiacciante. Di certo il nuovo film di Glazer è tra i più sperimentali dell'ultimo decennio, forse è per questo che potrebbe essere una pellicola di Kubrick. O lo si ama, o lo si detesta (fischiato a Venezia): io credo di essere nel mezzo.
Con Scarlett, invece, non sono nel mezzo. Per lei ho finito gli aggettivi e, semplicemente, la amo.

Malinconico e bellissimo.
Il monologo centrale di Frances, sull'amore e sulla vita, trasuda sensibilità e meraviglia. Una perla rara, questa di Baumbach, che indirizzo dopo indirizzo racconta in qualche modo, e in bianco e nero, anche la sua New York. Ottimo.

Ci sono già i germi del Tarantino che sarà, soprattutto nel virtuosismo del montaggio, nella struttura scombussolata eppure perfettamente circolare, nel grottesco che spunta nel disastro. Film anche claustrofobico per l'ambientazione, basato tutto sui dialoghi serrati, altro punto tipicamente tarantiniano. E ottime le interpretazioni.

Anche i sentimenti si annichiliscono, nella droga.
Berlino è sporca, squallida, degradata, tre aggettivi che bene aderiscono alla vita di ragazzi alle prime armi con l'esistenza stessa.
Lancinante e potentissima la scena della crisi d'astinenza. Da far vedere, questo film sì, nelle scuole.

Lo Cascio si cimenta alla regia e omaggia Siena, le sue aurore soprattutto. Ma il suo rimane un giallo sufficiente, stentato nel ritmo e nella sceneggiatura (pur nella constatazione che la tematica trattata sia interessante e induca a qualche riflessione). Anche il finale non brilla, un po' "inconcludente".

*una vita può essere quantificata

Virzì maneggia e rielabora molto bene il romanzo di Amidon: bene nella scrittura, nella regia, nella tecnica di racconto, nella scelta del sonoro. Peccato che non convincano, a tratti, alcune interpretazioni, in particolare quelle dei “più giovani”. E peccato per questo finale definito giustamente conciliatorio (e consolatorio), soprattutto nell’ultima scena, come se il regista avesse intenzione di cancellare, o quanto meno alleviare, tutto il magone accumulato durante la pellicola. Un finale leggermente alternativo - che Virzì ha eliminato in fase di montaggio, e che sarebbe stato migliore - è quello di Carla (la Bruni Tedeschi) che corre scalza nella campagna, in fuga da quella realtà alto-borghese in cui più non si rispecchia, e che la sta stritolando.
Attorno si sorride, si è tornati alla solita routine materiale e artefatta, patinata, scommettendo sulla rovina di un Paese, e vincendo. Nella triste considerazione che anche una può essere quantificata, diventare capitale (umano).

*di Walken

La vita semplice e gaia del paese, la caccia, la gioia dell'amore e di un matrimonio su cui la camera indugia; poi immediatamente le bombe, il sangue, il delirio del Vietnam: lo stacco di Cimino è repentino, lancinante, eppure presagito nella goccia di vino che irrora l'abito della sposa.
Interpretazioni spettacolari di De Niro, della Walken, di una sontuosa Meryl Streep. Dito nella piaga in un finale sorprendente, cantando "God bless America" con un menomato, un morto, una metamorfosi anche completa in ogni personaggio. Non è solo un film sulla guerra e sull'idea che nulla, dopo, sarà come prima: è un film sull'uomo.

Pellicola asciutta, semplice ma profonda, caliginosa. Taciturna, anche, a parte quella colonna sonora così bella - sempre la stessa - come se scandisse i soliti, stessi movimenti e le medesime abitudini di John May. Un uomo solo, che solo non è forse mai stato, e che ritrova la sua compagnia dopo la morte, in quell'ultima scena sognante. Delicato, ben scritto e ottimamente girato. Grande Pasolini.