Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Oscar 2012 Miglior film straniero, analisi dei candidati

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a cura di Glauco Almonte
A dieci settimane dalla consegna dei Premi Oscar, l’interesse italiano è tutto per la candidatura cone miglio film straniero di “Terraferma”, terzo lungometraggio di Emanuele Crialese. La speranza è quella di entrare nella cinquina che sarà annunciata giovedì 24 gennaio, ma il primo grande scoglio è, una settimana prima, la scrematura da 63 a soli 9 pretendenti.
Proviamo a dare uno sguardo decisioni delle commissioni dei 63 Paesi che hanno scelto di candidare un proprio film all’Oscar, non solo per studiare gli avversari ma anche per capire quanta parte del cinema di qualità mondiale arriva a portata del pubblico italiano.

Cannes e i suoi fratelli: la vetrina dei festival

Tra i rivali di “Terraferma” (presentato al Festival di Venezia) ci sono tre compagni di viaggio: sono stati presentati a settembre al Lido l’animazione Ceco-Slovacca “Alois Nebel”, lo svizzero “Summer Games – Giochi d’estate” e “Tao jie – A Simple Life” da Hong Kong. Sempre dalla Biennale di Venezia, ma con un anno di ritardo, arrivano lo scandinavo “Beyond”, uscito nelle sale italiane a marzo, e il greco “Attenberg”.
Il grosso della truppa arriva dal Festival di Cannes, vetrina principale per i film di qualità di tutto il mondo: dal concorso arrivano l’israeliano “Herat Shulayim”, il turco “C’era una volta in Anatolia” e l’ultimo Kaurismaki, premiato a Torino nel giorno dell’uscita italiana, “Miracolo a Le Havre”. Dalle altre sezioni arrivano il candidato francese, “La guerre est déclarée” (passato anche da Torino), un altro francese ma in rappresentanza del Libano “Et maintenant, on va où?” (dal 20 gennaio in sala anche da noi), l’austriaco “Atmen”, il sudafricano “Skoonheid” e la seconda e ultima animazione in concorso, “Tatsumi” da Singapore (anche questo proiettato dieci giorni fa a Torino). Sempre sulla Croisette, ma un anno prima, sono stati presentati il georgiano “Chantrapas” e due sudamericani: l’horror uruguaiano “La casa muta”, unico rappresentante del genere, e il peruviano “Ottobre”.
Meno numerosi ma spinti dai favori del pronostico i film presentati al Festival di Berlino: in prima linea troviamo l’iraniano “Una separazione” (Orso d’oro) accompagnato dal 3D di Wim WendersPina” e dall’ungherese “The Turin Horse”, tutti e tre usciti in Italia al cinema o in televisione. Inediti in Italia gli altri due reduci della Berlinale, il belga “Rundskop/Bullhead” e il brasiliano “Tropa de Elite 2”, sequel del vincitore dell’orso d’oro 2008.
Tra gli altri possono vantare vetrine prestigiose il norvegese “Happy, Happy” (Sundance), il canadese “Monsieur Lazhar” e il romeno “Morgen” (Locarno). Il portoghese “José e Pilar” è stato presentato a Mantova al Festival delle letterature.
Di tutti gli altri film in Italia si hanno ben poche notizie: gli unici che si possono inserire nella rosa dei possibili favoriti sono “I fiori della guerra” di Zhang Yimou e la seconda parte de “Il sole ingannatore 2” di Nikita Mikhalkov, sequel del film premiato 17 anni fa proprio in questa sede.

Geografia e nobiltà

Gli onori di casa deve farli la Danimarca, “campione in carica” con Susanne Bier: a difenderne i colori sarà la commedia “Superclasico” di Ole Christian Madsen. Argentina e Giappone, vincitore delle due edizioni precedenti, presentano rispettivamente il western (unico candidato) “Aballay, l'uomo senza paura” di Fernando Spiner e “Postcard” di Kaneto Shindô.
Tra i Paesi vincitori di Oscar in passato e non citati nel paragrafo sui festival, troviamo lo spagnolo “Pane nero”, il bosniaco “Belvedere”, l’olandese “Sonny Boy” e un lunghissimo drammone storico taiwanese, “Seediq Bale”, oltre 4 ore e mezza divise in due parti. Colpisce l’assenza di film algerini, “colpa” di Rachid Boauchareb (3 nominations negli ultimi anni) che non ha ancora finito il nuovo film.
Nella lista delle nazioni che hanno avuto almeno un film in cinquina alla notte degli Oscar, ma non hanno mai vinto la statuetta, troviamo Islanda (“Vulcano”, non è uno scherzo), Macedonia (“Punk non è morto”), Polonia (“In Darkness”, Regno Unito (con la coproduzione argentina “Patagonia”, unica possibilità per gli inglesi di competere nella categoria riservata ai film in lingua non inglese), India (“Abu, figlio di Adamo”), Vietnam (“The Prince and the Pagoda Boy”), Cuba (il fantasy “Havanastation”), Egitto (“Lussuria”) e Marocco (“Omar m’ha ucciso”, seconda regia dell’attore Roschdy Zem).
Infine, i Paesi che sperano di entrare per la prima volta nella cinquina dei finalisti: 7 europei (Albania, Bulgaria, Croazia, Estonia, Irlanda, Serbia e Slovacchia, di questi solo il serbo Bjelogrlic e l’estone Keedus hanno esperienza), 3 sudamericani (Cile, Colombia e Venezuela); 6 orientali (Sud Corea – incredibile pensare che non sia mai stata in cinquina – Indonesia, Kazakistan, Filippine e Thailandia), la Nuova Zelanda, il Messico e la Repubblica Dominicana.

Sconosciuti alla ribalta

Che il pubblico italiano non li conosca, non vuol dire che sia giusto etichettarli come ‘sconosciuti’; ma tra i 63 candidati sono almeno in 17 a non potersi lamentare dell’etichetta, concorrendo per l’Oscar con la loro opera prima. Difficile fare pronostici tra di loro, anche se partono con i favori della stampa il sudafricano Oliver Hermanus, il belga Michael R. Roskam e soprattutto la navigatissima attrice svedese Pernilla August; outsider il romeno Marian Crisan, ennesimo giovane esponente di una cinematografia in forte espansione, cortista apprezzato fino a pochi mesi fa. Le possibilità per tutti loro non sembrano alte, ma non bisogna dimenticare, per restare agli ultimi anni, due esordienti quali Denis Tanovic e Florian Henckel von Donnersmarck, capaci di vincere l’ambita statuetta al primo colpo (dell’olandese Mike van Diem, invece, si sono dimenticati tutti); l’ultima opera prima entrata in cinquina è di appena due anni fa, “Ajami” degli israeliani Scandar Copti e Yaron Shani.

La vittoria è un Dramma

In genere vince... il genere drammatico, non si scampa. Magari con qualche sfumatura – tendente al poliziesco (“Il segreto dei suoi occhi”), al bellico (“No man’s land”), wuxia (“La tigre e il dragone”) o storico (“Il sole ingannatore”) – ma sostanzialmente drammatico. Le ultime due commedie, probabilmente non a caso i due vincitori italiani, “Mediterraneo” e “La vita è bella”, sono commedie drammatiche, la seconda in particolar modo. L’ultima vera commedia, anche se la definizione è riduttiva, ad aggiudicarsi l’Oscar è stata “Effetto notte” di Truffaut, 28 anni fa.
Le commissioni nazionali lo sanno bene, e la loro scelta tra prodotti di qualità non dissimile è facilmente orientata dal gusto presunto dei giurati. Su 63 candidature, solo due sudamericane puntano su un genere a sé stante: l’horror uruguaiano “La casa muta” e il western argentino “Aballay”. Una variazione si può riscontrare nella biografia della cantante cilena Violeta Parra, il documentario su José Saramago e la moglie Pilar, l’animazione sul disegnatore manga Yoshihiro Tatsumi e il documentario su Pina Bausch, quattro storie che, se non fossero storie vere, rientrerebbero nei canoni classici del genere drammatico.
L’appuntamento per tutti è a metà gennaio, quando 54 di questi film spariranno dagli articoli sulla corsa all’Oscar, per concentrarsi sui 9 che meglio si adattano ai gusti dell’Academy.
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