Un mondo di marionette conclude (1980) la parentesi tedesca di Bergman. In questo film - uno dei più cari all’autore e, ovviamente, uno dei meno apprezzati dalla critica – Bergman subisce il fascino della Nuova filmografia tedesca, la cui vetta s’incarna nell’opera di R. W. Fassbinder. L’influenza è in primis al livello iconico, d’immagini, con il bianco e nero acceso, spiazzante, livido (il film è in bianco e nero tranne la sequenza iniziale e quella finale). Ma anche l’ambientazione della vicenda in locali squallidi, la presenza del mondo della prostituzione, e un’alienazione estrema dei rapporti umani raffigurati (marionette, appunto), sembrano alludere alle radicali derive umane dei film fassbinderiani.
Il filma narra la storia di una follia, di un uomo distrutto dal non-senso, e dalla psicosi. L’excursus che porta Peter Egerman, un normale alto-borghese tedesco, a commettere un ferale assassinio, è raccontato da Bergman secondo le modalità della ricerca, dell’ispezione criminologica investigativa: il film è diviso in “capitoli”, ognuno annunciato da una didascalia, e il succedersi dei capitoli non segue l’evoluzione temporale della vicenda ma procede per sbalzi in avanti e indietro nella temporalità della fabula, per es. Venti ore dopo l’assassinio lo psichiatra... , Due ore prima... , tre settimane dopo etc. (trent’anni dopo Rapina a mano armata di Kubrick e quindici anni prima di Pulp fiction di Tarantino).
Il film è una sorta di diagnosi corale della vicenda di questo ricco borghese, benvoluto da tutti, figlio di una grande attrice di teatro, che comincia a manifestare sintomi di depressione e di “azzeramento” emozionale. Il rapporto con la moglie è un rapporto “aperto”, con avventure extraconiugali raccontate dai rispettivi coniugi al compagno. Peter dichiara, allo psichiatra Mogens Jensen – che è l’amante più assiduo della moglie, e amico di Peter -, di essere felice di questo rapporto, soprattutto dal punto di vista sessuale. Ma da un periodo è ossessionato da desideri omicidi nei confronti della moglie, e attribuisce questi deliri, ad una disfunzione ormonale. “Persone come te – gli risponde lo psichiatra – non credono all’esistenza dell’anima. Quindi non capisco la tua visita.” Credendo che Peter sia uscito, lo psichiatra chiama al telefono la moglie di Peter, Katarina, e la invita ad andarlo a trovare. Ella arriva, e decide di non concedersi, di non fare l’amore, perché ama oramai solo Peter. Quest’ultimo – che ha assistito alla dichiarazione d’amore della moglie – rimane assolutamente indifferente, spento. La sensazione di un totale vuoto spirituale e mentale, di una stanchezza assoluta, muove la disperazione (nell’etimo: dis-speranza) di tutta l’investigazione filmica di Un mondo di marionette. Anzi, la freddezza della “forma” narratologica (l’investigazione criminal-psichiatrica) acuisce il senso di tetra, desertica, assenza di luce, di desiderio, che dilania questo mondo di benestanti malesseri. E’ il film della morte del desiderio, questo di Bergman, uno dei suoi più duri e radicali.
La macchina investigativa cinematografica passa dalle testimonianze post-assasinio della egoista e fatua madre di Peter, alle sue (del protagonista) ultime manie di suicidio, a reperti psichiatrici, alla frequentazione della prostituta nel porno club. L’uccisione di quest’ultima, avviene senza un senso plausibile, perché capita così, ex abrupto, in un momento di tenerezza tra i due, in una sorta di invasata violenza automatica..
Ma non c’è spazio per la tenerezza, o per qualsiasi si altra forma di comunicazione in un ambiente mentale – quello del mondo di marionette – che razionalizza anche l’amore di coppia, razionalizza, organizza anche il proibito, la trasgressione del tradimento: la coppia aperta, i locali porno dove si vende l’eros, o il suo morto simulacro.
Dopo una lunga lettura – da parte dello psichiatra Jansen – del quadro clinico che spiega i nodi psichici che hanno fatto esplodere nell’atto omicida Peter, il film si chiude come era iniziato, con una sequenza a colori che ritrae Peter in carcere mettere ossessivamente a posto il lettino e rifiuta ogni aiuto.
Mettere ossessivamente a posto: è la noia petulante delle società “avanzate”.
Si finisce come s’inizia... il principio era la fine... Bergman e i circoli viziosi. |