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Nel tristissimo Belgio di oggi, un ragazzo gestisce un traffico di extracomunitari con un padre senza scrupoli pronto a picchiarlo se sorprende il figlio in atteggiamento di solidarietà verso di loro. Alla visita di alcuni emissari dell'ufficio emigrazioni, un africano precipita da un impalcatura nel tentativo di fuggire ai controlli. In punto di morte, l'uomo chiede al giovane di occuparsi della moglie e della figlia ancora in fasce. Per farlo, dovrà mandare al diavolo l'imbruttito genitore ed iniziare un calvario per nascondere alla donna la vera fine del disgraziato marito. |
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Vedere dall'interno, superare la fedele riproduzione che concede allo spettatore una visione ancora, per lo meno, confortante. Ogni sequenza è sempre una visione del mondo, un messaggio. Quel mobilissimo stare incollati al volto e al collo dei personaggi, le macchine da presa come gocce di sudore, la tensione drammatica che fuoriesce da sè, da uno sguardo o da un gesto, da un'attesa o da una titubanza.
Un ritratto di un rapporto tra padre e figlio (non il primo, e non l'ultimo) di una durezza sconvolgente, e soprattutto sulla dolorosa ricerca (sacrificale) della pietà e della compassione. Della purezza, ormai perduta. E non c'è modo migliore per mostrare questo travaglio se non la crudezza del vero filtrata attraverso il melodramma, e una spietata speranza.
Tutti i personaggi dei fratelli Dardenne subiscono la solitudine e combattono, non per dei valori di solidarietà, ma per il vivere il quotidiano, per resistere al presente. Lottano nella vita sgomitando esattamente come sono costretti a fare per essere inquadrati dalla macchina da presa, che li bracca facendosi largo attraverso i corpi pesanti delle persone che li circondano e li coprono: un padre, una madre o un datore di lavoro. E come quei corpi, anche la macchina da presa può sbattere contro ostacoli inaspettati.
Questa è la storia e la memoria dei personaggi dei Dardenne, ed è attraverso la ripetizione meccanica di tali gesti banali, assurdi, che si riesce a intuire la loro esistenza.
Presentato in concorso al Festival di Cannes (1996) al Sydney Film Festival (1997) e al Toronto International Film Festival (1996). |
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Commenti del pubblico |
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Ultimi commenti e voti |
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6,5
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7,5
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un ragazzino, cresciuto da una bestia tra le bestie e già ben avviato anche lui, non può più soffocare la propria natura umana e - nonostante il divieto del suddetto padre, il rischio di perdere il quale è il rischio minore - si comporta di conseguenza. il film è tutto qui: una giacca a vento rossa e blu che va in giro tra detriti e calcinacci e che a un certo punto cambia "direzione". non ne fa un dramma (lo è già), non sta lì a macerarsi tra le (già) macerie, né diventa chissà che paladino del bene: fa quel che va fatto e basta, da quel povero cristo (bambino) che è prende su di sé il male del mondo perché semplicemente non può fare altrimenti. solo due volte ride, lo fanno ridere - è l'apice della crudeltà, e come ci si sente non si può dire. dardennismo puro, primordiale, piccolissimo ed enorme, inguardabile e meraviglioso.
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8
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La privazione degli affetti nell'infanzia/adolescenza e lo sfruttamento dell'immigrazione clandestina sono le note salienti di questo bellissimo film duro, scarno e disincantato dei due registi che non indulgono mai - come noto - alla facile commozione o al sentimentalismo. Ma il sovraccarico di tensioni emozionali accumulatesi e sempre trattenute a sprazzi affiora con dirompente efficacia come nella scena tiratissima dell'abbraccio fra Igor e Assita che questi sta cercando di salvare schiacciato dai sensi di colpa e dalla difficile decisione che lo porterà ad affrancarsi definitivamente dal padre. Da vedere.
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