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Arriva nelle sale italiane "Il Passato", ultimo film del pluripremiato regista iraniano Asghar Farhadi. Dopo "About Elly" (Orso d'Argento a Berlino 2009) e "Una separazione" (Oscar Miglior Film Straniero 2012) Farhadi sposta il racconto dall'Iran a Parigi per raccontare una storia di affetti familiari e di legami che condizionano la vita dei personaggi. Il regista racconta alla stampa il progetto e le interazioni con gli attori. |
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In che modo l'osservazione della vita francese ha nutrito la sceneggiatura? |
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Ho riflettuto molto sull'aspetto delle differenze: cosa cambierebbe se la storia si svolgesse in Iran? Nei miei film, i personaggi si esprimono spesso in modo indiretto. È una formula comune nella mia cultura ed è anche un espediente drammatico a cui sono ricorso spesso. Ho notato che questa modalità è più rara in Francia. Naturalmente è un discorso relativo, ma in generale i francesi si esprimono in modo più diretto. Dovevo dunque adattare lo sviluppo dei miei personaggi francesi a questo nuovo parametro. Ed è stato un processo piuttosto delicato e lungo da applicare alla scrittura. |
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E curiosamente è il personaggio iraniano a far parlare gli altri... |
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In effetti è una specie di catalizzatore, unapersona che mette gli altri in una disposizione d'animo incline alla parola, in cui affiorano cose che non sono state dette da molto tempo. Ma penso che sia un atteggiamento che ha inconsapevolmente, che non sia una scelta volontaria da parte sua. Per me è stata una vera linea di condotta, ho voluto fortemente che i miei personaggi non fossero definiti dalla loro bandiera o dalla loro nazionalità. È la situazione a determinare il loro comportamento. E in una situazione di crisi, le differenze si attenuano. |
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Uno dei suoi attori dice che l'idea di questa storia le è venuta vedendo una persona in coma ... |
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Non è andata proprio così. Sono andato a vedere dei pazienti in coma per preparare il film. Pur non avendo mai fatto esperienza diretta di questa condizione, da sempre associo subito l'idea del coma a una via di mezzo, a un dubbio: siamo nella vita o nella morte? Una persona in coma può essere considerata morta o è ancora viva? Tutto questo film è costruito su questo concetto di dubbio, sulla nozione di via di mezzo. I personaggi si trovano costantemente di fronte a un dilemma, sono a un bivio tra due percorsi. In “Una separazione”, la situazione in cui si trova il protagonista è piuttosto comune ma complessa: deve scegliere tra il benessere di suo padre e quello di sua figlia. In “Il Passato”, la questione è un po' diversa: bisogna privilegiare una certa lealtà verso il passato o rinunciarvi per proiettarsi verso il futuro? |
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Questi dilemmi sono ancora più profondi a causa della complessità della vita di oggi? |
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È molto probabile. Mi sembra che abbiamo la tendenza a considerare indefinito il futuro perché ci è sconosciuto. E tuttavia il passato mi pare ancora più opaco. Oggi conserviamo delle tracce del nostro passato, dovrebbe esserci più vicino di quanto non lo fosse una volta. Eppure, malgrado le fotografie o le e-mail, il nostro passato è diventato ancora più oscuro. E oggi la vita forse tende a volersi proiettare in avanti ignorando il passato. Ma l'ombra del nostro vissuto continua a pesare su di noi e a riportarci indietro. Mi sembra che questo sia vero in Europa come nel resto del mondo. Malgrado tutti i nostri tentativi di catapultarci verso l'avvenire, il peso degli eventi passati continua a farsi sentire sulle nostre spalle. |
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In una versione della sceneggiatura, il personaggio di Ahmad aveva un legame con il cinema, come se conservasse ancora la funzione di dialoghista degli altri personaggi. |
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In effetti, in una delle prime stesure della sceneggiatura, avevo immaginato che potesse essere legato al mondo del cinema. Ma poco a poco mi sono reso conto che non volevo che avesse un mestiere, volevo che si sapesse poco di quest'uomo. È un uomo che suscita una grande curiosità nelle persone, vorremmo conoscerlo meglio, sapere da dove viene, ma alla fine non gli viene mai data l'occasione di presentarsi in modo più preciso. Anche quando cerca di giustificare la sua assenza e il suo ritorno in Iran, il personaggio che divide la scena con lui non glielo ascia fare. Forse ci vorrebbero dei film, dei documentari o delle fotografie... Non saperlo significa lasciare tutte le possibilità aperte. In ogni caso penso che svolga uno di quei mestieri che non si possono fare bene lontano da casa propria e che questo sia uno dei motivi per cui lascia la Francia. |
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François Truffaut diceva che al cinema i bambini non sanno mentire e offrono una verità diversa da quella degli attori adulti. Condivide questo pensiero? |
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Sono arrivato alla conclusione che sono incapace di fare un film in cui non ci siano bambini. Malgrado sia difficile lavorare con loro, mi sembra che la loro presenza apra l'atmosfera del film alle emozioni e agli affetti. Infondono sincerità. Infatti, in tutti i miei film i bambini non mentono, se non sotto pressione degli adulti. |
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Nel film, i bambini sono al tempo stesso testimoni e vittime degli adulti? |
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Nel film c'è un bambino che nessuno vede, quello che porta in grembo Marie. Prima ancora di nascere, il suo destino è determinato da altre persone. Mi domando, quando quel bambino nascerà, cosa potranno dirgli gli altri del suo passato, degli eventi che hanno preceduto la sua nascita. |
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Che differenza c'è tra girare un film in Iran e girarlo in Francia? |
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Per me, non c'è una grande differenza: ho lavorato allo stesso modo in Francia e in Iran. In Francia ovviamente ci sono più mezzi e il cinema è visibile in quanto industria. In Iran, il cinema è una congiunzione di creatività individuali, mentre qui la creatività è più collettiva. |
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Una separazione era un film girato con la macchina da presa a spalla, in questo la macchina da presa è molto più stabile. Cos'ha comportato questo cambiamento di stile? |
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Una volta che la storia ha preso forma e che sono andato a vedere gli ambienti, ho capito che questo racconto esigeva maggiore stabilità, una macchina da presa più spesso fissa, meno nervosa. “Una sperazione” era un film in cui tutti gli eventi avvenivano in uno stesso luogo e in uno stesso momento, sotto l'occhio dello spettatore. In “Il Passato” vediamo solo le ricadute di eventi trascorsi, i loro effetti sull' interiorità dei personaggi. E poiché si tratta di un film più interiorizzato, la macchina da presa doveva essere meno mobile. |
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Lei è un moralista? |
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Non mi atteggio a moralista, ma è innegabile il fatto che ci siano dei quesiti morali in questo film. Ci sono anche altri approcci possibili. Uno può scegliere una chiave di lettura sociologica o psicologica. Ma è evidente che molte situazioni possono essere esaminate da un punto di vista morale. |
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