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"Cesare deve morire" segue i laboratori teatrali realizzati dentro il carcere di Rebibbia dal regista Fabio Cavalli, dalle prove alla messa in scena finale del 'Giulio Cesare'.
Di giorno in giorno, nelle celle, nei cubicoli dell’ora d’aria, nei bracci della sezione il film racconta come, attraverso prove che sempre più coinvolgono i detenuti nel profondo, prende forza la grande tragedia, scoprendo nello stesso tempo le cadenze oscure della loro vita quotidiana di condannati. |
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Rapinatori, omicidi, criminali, camorristi. Li hanno condannati per questo. Ma non liquidateli come mostri. Sono e restano uomini. Anche e soprattutto dietro le sbarre di un carcere, quando è allla loro umanità che qualcuno decide di rivolgere la propria attenzione. Come hanno fatto i fratelli Taviani, nel film “Cesare deve morire”, con cui hanno trionfato a Berlino. Folgorati da uno spettacolo su Dante cui avevano assistito a Rebibbia sono tornati nel carcere romano, chiedendo loro e al regista Fabio Cavalli che da dieci anni li guida in un laboratorio teatrale di mettere in scena il Giulio Cesare di Shakespeare. Con i propri dialetti, le proprie esperienze di vita, i propri disastri personali. Prima i provini di selezione, poi le prove, infine lo spettacolo. Gran teatro. Ma anche grande cinema, asciutto e visionario, distaccato e coinvolgente, con le due macchine in digitale che li inquadrano nei cortili, nei corridoi, nelle celle. Porte che si aprono e si chiudono. Dentro e fuori da quelle stanze chiuse dove vivono e dove rientrano, sentendole sempre più strette da quando spiega un ergastolano che interpreta Cassio sono entrati in contatto con il linguaggio profondo del teatro, cui hanno portato in dote le straordinarie ricchezze delle proprie miserie. Più veri quando recitano e trasfigurano in dramma popolare il testo di Shakespeare, la congiura, il tradimento, il dubbio, echi collaudati e strazianti della loro vita da criminali, che quando indossano i loro panni, le loro maschere di detenuti. Un mondo in bianco e nero. Come i colori di questo film che ha stentato a trovar produzione e distribuzione. Troppo intenso, "vero" per il nostro mercato. |
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