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Che tipo di film desideravi girare? |
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Silvio Muccino: Volevo un film che fosse romantico, positivo e pieno di speranza.. E che questa speranza emergesse proprio dalle maschere e dalle sovrastrutture. Per me era importante fare un film che parlasse non solo dell’apparenza, ma proprio del cuore, dell’accettazione delle proprie fragilità. Soprattutto volevo un film spettacolare, volevo creare un grande show. E un grande show si fa con le luci, con particolari movimenti di macchina con la musica. Ringrazio Federico Schlatter per aver capito appieno tutti questi elementi per me fondamentali e aver usato molte volte in scena la luce in macchina per abbagliare il pubblico, esattamente come accade quando si rimane abbagliati di fronte a un grande spettacolo. |
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Com'è nata la storia? |
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SM: Diciamo che la storia è stata concepita lentamente, dopo aver scoperto la figura del life coach. E’ stata Carla Vangelista a propormi questo personaggio, circa un anno e mezzo fa. Stavamo già lavorando al soggetto di una commedia romantica ma ancora mancava un forte riferimento e radicamento nel presente. La risposta è venuta da Internet, in particolare da un video tratto da YouTube di uno dei più famosi life coach americani, Anthony Robbins. Siamo rimasti entrambi molto colpiti da questo personaggio e dal suo carisma perché in fondo, a mio avviso, incarna proprio il “figlio fortunato” della crisi attuale: in questo momento storico di smarrimento, in cui nessuno sa come arrivare a fine mese o realizzare i propri desideri sopperendo così alle frustrazioni, il life coach si propone come colui che ha la risposta, colui che ha il segreto in mano.. La figura del “vincente” non è mai stata raccontata nel nostro cinema e ci sembrava di grande attualità.. Scoprendo questo personaggio ci siamo chiesti “dov’è che inizia però la maschera e finisce l’essere umano?”. “Le leggi del desiderio” è frutto anche di un altro interrogativo: dov’è scritto che dobbiamo per forza essere tutti dei modelli vincenti, trasformandoci in qualcosa che molto probabilmente non siamo? |
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Cosa pensi del fenomeno dei life coach, in Italia soprattutto? |
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SM: Anche in Italia è molto diffuso: è un fenomeno americano che noi ovviamente, da esterofili quali siamo, non ci siamo fatti mancare..Al di là dei nomi che conosco, il coaching in generale è diventata una moda assoluta, a prescindere anche dal titolo “life”. Su Internet trovi persone che insegnano a vestirti, come mangiare, cosa comprare. Probabilmente il motivo di questo successo risiede nel fatto che la gente, oggi, ha bisogno che qualcuno gli indichi la strada da seguire. In ogni caso non credo ci siamo inventati niente, e credo che neanche Anthony Robbins l’abbia fatto.. Queste figure esistevano già, semplicemente un tempo li chiamavamo sciamani, oggi li chiamiamo life coach, ma insomma quello è il ruolo. E Internet, oggi, è divenuto il loro territorio. Penso siano persone da cui si può prendere del buono, perché no. Ovviamente dipende dal proprio senso critico e riuscire a distinguere quel buono da qualcosa che invece snaturi la propria identità, la propria verità. |
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Perché è passato così tanto tempo dall’ultimo lavoro? |
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SM: Dopo “Un altro mondo”, film per me molto importante e anch’esso molto amato, sentivo il bisogno di cambiare e tornare con una storia diversa. Sentivo il bisogno di mettermi in gioco e di giocare anche, e non sempre si ha qualcosa da dire. Non sempre si è pronti con la storia in tasca, a volte bisogna aspettarla, altre volte bisogna sudarsela e il più delle volte quello che è fondamentale è trovare i giusti compagni di squadra. Per me l’entusiasmo comune è sicuramente l’elemento più importante per poter scegliere di fare un film e a volte bisogna aspettare che arrivi. |
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Come vivi la convivenza in te dei due ruoli, quello del regista e quello dell’attore? |
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La vivo come l’unico lusso che mi concedo, quello di poter scegliere. Scegliere un ruolo quando sento di poterlo fare al meglio come attore oppure scegliere di “passare la palla”, come si dice, a degli attori straordinari come quelli che ho avuto il piacere di dirigere in questo film. Questo sì che è un bello spettacolo, non solo interpretare. Ciò che mi entusiasma, al di là di recitare una parte, è farmi nutrire dal talento di questi attori straordinari. Amo fare il regista, lo amo in tutti i suoi aspetti, amo la fotografia, amo la macchina da presa, amo la scrittura, amo tutto del set.. Ma più di tutto amo i bravi attori perché quando sono bravi fanno funzionare davvero quello che immagino, fanno brillare il film e fanno migliorare anche me.. E, devo dire, mai come in questo caso io ho avuto la fortuna di lavorare solo con bravissimi attori.
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Come avete lavorato con Silvio? Qual è stato il rapporto con il vostro personaggio? |
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Nicole Grimaudo: Per me è stata fondamentale la scrittura di Carla Vangelista che ci ha dato la possibilità, a me e a Carla, di interpretare dei ruoli femminili pieni, ricchi e carichi, decisamente lontani dai classici stereotipi. Inoltre per un’attrice interpretare un personaggio che si trasforma è il massimo! E’ stata la prima volta, per me, giocare con un ruolo così nuovo e soprattutto lontano da ciò che sono. Silvio poi è stato una guida attenta e straordinaria, grazie a lui ho riscoperto la bellezza della recitazione e soprattutto ho tirato fuori carte, come quella della commedia, che non sapevo di possedere. Non ho mai incontrato un regista che amasse gli attori in questo modo. Lui è il nostro fan numero uno. Ha una passione sfrenata per i suoi attori.
Maurizio Mattioli: Io ho poco da dire, sono quarant’anni che faccio commedie.. Questa forse è quella che ho un po’ più sotto pelle. Questo film mi ricorda dei momenti di vita privata non molto facili.. Però è stato un lavoro che mi ha permesso, proprio in questo momento difficilissimo della mia vita, di usare il pensiero e abbandonare la superficialità, quella che spesso mi accompagna nella battuta. E’ un film difficile – almeno per me lo è stato – però sono molto contento di quello che ho fatto. Perché non l’ho sognato, ma l’ho fatto con i piedi per terra, grazie a Silvio che nonostante la sua giovanissima età è stato prezioso ed efficace nel darmi tutte le indicazioni necessarie per interpretare al meglio il personaggio. Forse perché lui stesso è un bravissimo attore, o forse perché aveva già visto il film prima di iniziare a girarlo.. E credo fermamente che sia stato realizzato proprio così come ce l’aveva in testa lui.
Carla Signoris: Su questo set mi sono sentita veramente molto amata.. Ed essere amati è un po’ il bisogno che sentono tutti i personaggi del film..
Luca Ward: Quando ho fatto il provino, onestamente, non ero affatto convinto minimamente: ho sempre fatto la iena, o il killer, o il poliziotto cattivo. Avrei suggerito qualche altro nome, forse più adatto.. Poi sono venuto a sapere che Carla Vangelista aveva scritto questo ruolo comico – o quanto meno brillante – proprio pensando a me. Oltre a questo, a convincermi è stato l’entusiasmo di Silvio. Sì, tante volte a doppiaggio ho dato la voce a personaggi del genere, ma il doppiaggio è un’altra cosa.. Silvio è riuscito a farmi uscire dai classici schemi del "cattivo" e farmi entrare alla perfezione in un ruolo del tutto nuovo. |
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Alla luce del messaggio classico del film d’intrattenimento, e cioè che la vita può cambiare in meglio per chiunque lo desideri, come ti poni rispetto a questa speranza? |
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SM: Nessuno di noi è Batman. Ma, come dice Bowie, magari possiamo essere dei supereroi per un giorno, proprio accettando il fatto di essere macchiati, di essere imperfetti.. Questo è l’aspetto più bello, questo è il cuore del film. Accettare le proprie fragilità, amarle e farne un punto di forza. |
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