Decibel di profondità
A me la gente mi annoia. Prima ancora di compiere trent’anni, il giovane Muccino sente il bisogno di fare un film (fare in tutti i sensi: lo scrive, lo gira, lo recita) per urlare la sua visione del mondo. Mette tutto se stesso in questo primo film, e il risultato lascerebbe pensare che sia anche l’ultimo: se quella è la sua visione del mondo, se quello che vediamo sullo schermo e che parla del film al TG1 in prima serata è l’autore-Muccino oltre che il personaggio-Muccino, non ha più altro da dire. E il giorno che trovasse cosa dire, dovrà imparare il modo di dirlo.
Perché tanta cattiveria? Perché questo primo film sappiamo già che non sarà l’ultimo. Il personaggio-Muccino ha pubblico e, di conseguenza, ha i produttori a sostenerlo: siccome l’uomo-Muccino è furbo, oltre che intelligente, la speranza di non ‘ricevere’ prodotti identici di questo livello, in futuro, c’è.
Per ora c’è un film che non dice molto, ma quel poco che dice lo urla: il messaggio forte è che solo chi ha sofferto, chi ha dei sensi di colpa, può essere nel ‘giusto’, avere ‘ragione’ ed ergersi a personaggiopositivomucciniano, il massimo livello immaginabile nel mondo del giovane Silvio. Spaventosamente, in quasi due ore di film non c’è altro, a meno che antro non sia la frase che racchiude il tutto, “non esiste una donna che non possa essere conquistata”. Profondo, se urlava anche questo magari arrivava ancora più giù (al pancreas, presumo).
Consideriamo “Parlami d’amore” un punto di partenza, quale probabilmente sarà: l’autore-Muccino si districa in questa sua prima fatica tra citazioni cinematografiche – e non solo – a iosa, denunciando da un lato la sua poetica, dall’altro la sua mancanza di idee su come trasformare una sceneggiatura in un film. Presenta se stesso come attore in un’aperta citazione da Caillebotte, peraltro apprezzabile; le immagini de “L’Atalante” sono un altro segnale forte, anche se meno originale. Tutto il resto rientra nell’ampiamente prevedibile, dalla dichiarazione d’amore per “Will Hunting” (film culto per la generazione di inizio anni ’80) alla trasformazione della donna angelicata in femme fatale (mancano le donne normali, in questo film), fino allo scontro tra allievo e maestro che si risolve in un finale già visto l’anno scorso ne “Le regole del gioco”.
Non resta che sorridere, alla fine, della comicità involontaria di alcuni passaggi: “io non ti amo” – “che c’entra?”, o “truccami! truccami! truccami!”. Appena si spengono le luci la pellicola ci informa che “questo film è stato riconosciuto di interesse culturale, e quindi sovvenzionato, dal Ministero dei Beni Culturali”. Una risata lo seppellisce ancor prima dell’inizio. |
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