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Una famiglia disgregata da piccoli segreti che nel tempo si sono trasformati in grosse bugie, tenta disperatamente di restare unita rifiutando di affrontare la Verità. Per evitare di rendere più difficile la situazione e più pesanti le responsabilità, si sceglie di negare questa Verità, rifiutando di vederla, di ascoltarla o di parlarne, come nella favola delle 'tre scimmiette'. Ma comportarsi così basta a cancellare la Verità? |
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Un cortometraggio lungo due ore.
Il sesto film di Nuri Bilge Ceylan, regista turco prossimo alla cinquantina considerato dalla critica l’Antonioni del Bosforo, è più vicino alla cinematografia nordica nella dilatazione dei tempi scenici priva del significato e della pesantezza propri dell’opera del regista ferrarese.
Alla base de “Le tre scimmie” non c’è una storia, ma un’idea estetica: Ceylan piazza la macchina da presa e sembra dimenticarsene, giocando con piani diversi all’interno di inquadrature dotate di grandissima profondità; i personaggi entrano ed escono dall’inquadratura senza che questo comporti una diversa messa a fuoco, rendendo il tutto affascinante, ammirevole, con la sensazione di vedere qualcosa per la prima volta. Ma è un’idea, e come tale i primi minuti in cui si palesa hanno un effetto incomparabilmente più forte del tempo rimanente in cui si ripete, tempo complessivo prossimo alle due ore.
Quel che manca a “Le tre scimmie” è la storia, o più precisamente la voglia di andare oltre lo spunto iniziale, sul quale Ceylan si appiattisce e sembra girare in tondo in attesa che finisca la pellicola… La storia entra subito nel vivo, e questa scelta prelude ad un tardivo disvelamento dell’antefatto; ma la storia è semplice, ai limiti della banalità, e non richiede spiegazioni psicologiche: il mondo è pieno di famiglie nelle quali non si parla, non si vuole ascoltare né vedere, ed un trauma che giustifichi questo atteggiamento stride con il finale che riflette l’inizio, con Eyüp nelle vesti di Servet.
Un peccato anche l’esagerata lentezza con la quale vengono mostrate le ultime azioni dei personaggi, un escamotage per preparare lo spettatore ad un finale che non ci sarà.
Per la giuria che ne ha premiato la regia al 61° Festival di Cannes, il consiglio di rivedersi un film di Kaurismaki (uno qualsiasi) e di capire le differenze. |
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