Agli dei si perdona tutto
Diego nostro che sei nei campi, sia santificato il tuo sinistro…
A Buenos Aires esiste la Chiesa Maradoniana: non è uno scherzo, esiste davvero. Per diventare discepoli, bisogna fare un gol anticipando il portiere con la mano. La mano de Dios.
Il documentario che Emir Kusturica gira su Diego Armando Maradona, “El Diego”, “El Pibe de oro”, in due anni a cavallo tra il 2005 e il 2007, ruota attorno due tormentoni: La mano de Dios, appunto, e il gol del secolo, “un poema de gol”. Entrambi gli episodi si riferiscono alla gara del mondiali dell’86 (poi vinti) tra Argentina e Inghilterra: due a zero, doppietta di Maradona, il primo gol di mano, il secondo saltando mezza squadra avversaria, partendo dalla propria metà campo.
Kusturica incontra il suo protagonista a Buenos Aires, nell’aprile del 2005: non ha la minima idea di cosa potrà venir fuori dal materiale girato, ma ha deciso di partecipare al contenuto di queto documentario; e così, da Emir che suona ad un concerto in Argentina, fino al viaggio a Belgrado in cui presenterà a Diego la sua famiglia, il regista serbo imposta il suo discorso su binari paralleli. Su una rotaia scorre, imprevedibilmente, la vita di Diego, attraverso i suoi ricordi ed immagini d’epoca: mentre il piano visivo si concentra sulle molte prodezze di un calciatore inarrivabile, i racconti di Diego vertono per lo più sulle sue idee politiche, l’amicizia con Fidel Castro, l’odio per Bush (“un assassino”) e Carlo d’Inghilterra (“mai avrei stretto una mano con tanto sangue”), ma anche l’infanzia a Villa Fiorito e l’errore più grande della sua vita, la cocaina.
Sull’altra rotaia viaggia Kusturica, cercando di seguire le dichiarazioni di Maradona e ribattere: il confronto tra i due è portato avanti principalmente da parallelismi con la vita di Diego e i film di Emir, da “Papà è in viaggio d’affari” a “Ti ricordi di Dolly Bell?” o a “Gatto nero gatto bianco”, collegamenti per la verità molto deboli.
Il sette marzo 2007 Kusturica lascia Buenos Aires: il materiale girato è molto, compreso l’impressionante ritorno a Napoli nel giugno di due anni prima, ma Emir evidentemente non riesce a trovare un filo conduttore che non sia quello dei suoi film; ne escono fuori alcuni blocchi molto suggestivi, ma che dicono poco di un campione (e di un uomo) del quale esiste una letteratura sterminata, e quel che dicono sembra frutto del caso, di dichiarazioni estemporanee.
Insomma, è chiaro che mancava un progetto; ma c’era l’idea, e che idea: Diego Armando Maradona, il più grande. |