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Fotografia della sofferenza infantile nel mondo. Attraverso sette prospettive diverse, in sette paesi diversi (Italia, Africa, Serbia-Montenegro, America, Brasile…), il comune denominatore è la condizione di degrado, incomprensione e stenti in cui molto spesso sono costretti a vivere i bambini, anche tra le mura di casa. |
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L’infanzia è da sempre tema caro al cinema. All the invisible children è un film in sette episodi che racconta le varie condizioni dell’infanzia nel mondo. Nato da un progetto della produttrice Chiara Filesi e di Stefano Veneruso, All the invisible children vede la partecipazione di registi di grande fama che hanno deciso di legare il proprio nome ad un fondo istituito dall’Unicef e dal Pam (Programma alimentare mondiale) per la lotta alla malnutrizione in Africa.
Tutti gli ingredienti, dunque, per un trionfo dei buoni sentimenti. In realtà molti degli episodi sono veri e propri pugni nello stomaco allo spettatore. Se la denuncia per la condizione dell’infanzia è una, i temi trattati e le scelte stilistiche dei registi sono molto diverse tra loro. In definitiva un film che, tra alti e bassi, merita di essere visto.
Mehdi Charef, scrittore e regista algerino, in "Tanza", racconta la storia di un bambino-soldato in un paese africano in guerra, che dopo aver assistito allo sterminio della propria famiglia è destinato alla vita militare, così in contraddizione con la spontaneità propria dell’infanzia.
Molto bello il secondo episodio, "Blue Gipsy", firmato dal grande Emir Kusturica, che si interroga sulle diverse concezioni di libertà. Fa da sfondo, come sempre, la confusione allegra della ex Jugoslavia, bande musicali (le musiche sono della No Smoking Orkestra), cori folli e macchine scassate. Un piccolo gitano esce di prigione e l’incontro con il padre violento e inaffidabile lo convince a tornare nel penitenziario. La tipica energia balcanica dei film di Kusturica nasconde la durezza dell’esperienza di un bambino costretto alla galera.
Il corto più intenso è "Jesus children of America" diretto con la consueta bravura da Spike Lee. Blanca, adolescente di Brooklyn scopre di essere sieropositiva e la sua normalità, fatta di scuola e di giochi con le amiche, crolla improvvisamente. Emerge la drammatica realtà di genitori tossico dipendenti in un contesto urbano di squallore e povertà. In Jesus children of America i diritti negati dell’infanzia non sono quelli dell’Africa o delle guerre dimenticate, siamo a New York nel cuore dell’impero del benessere.
"Bilu & Joao" (di Katia Lund, già co-regista di City of God) racconta, invece, una giornata di due bambini brasiliani di San Paolo che tentano di sbarcare il lunario raccogliendo immondizia per il riciclo; le loro avventure in giro per la megalopoli con un precario carretto sono degne di un buon road movie.
"Jonathan" è l’episodio diretto da Ridley Scott e dalla figlia Jordan. Un fotografo di guerra è ossessionato delle brutalità viste negli anni; per uscire dalla crisi torna all’infanzia e con l’aiuto dei bambini riesce a recuperare la voglia di vivere. Un soggetto un po’ pretenzioso per un cortometraggio, operazione interessante ma non riuscita.
"Ciro" di Stefano Veneruso (nipote di Massimo Troisi e produttore dell’opera) è la storia di un ragazzino che in pieno centro a Napoli scippa un uomo e scappa per i vicoli dei quartieri spagnoli. L’episodio non regge il confronto con gli altri, e non sa scegliere tra la denuncia sociale e il “molto pittoresco”. Compare qui anche Maria Grazia Cucinotta che ha in parte finanziato il film.
Poetico e commovente è l’ultimo episodio del film, "Song Song & Little Cat" diretto da John Woo. L’autore di Mission: Impossible, che per la prima volta gira in Cina, mette in scena le vite parallele di una povera orfanella che vive con l’anziano nonno e di una bambina ricca e infelice. Un po’ troppo schematico, ma senza dubbio è cinema di qualità. |