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"Bread and Roses" è la storia delle lotte dei lavoratori ispanici immigrati illegali in California, i cosiddetti "janitors" addetti alle pulizie degli uffici che cercano di sindacalizzarsi per resistere allo strapotere delle ditte per cui lavorano. Inizia con l'attraversamento "ansiogeno" del confine, mostra una realtà di sfruttamento all'interno della più grande democrazia del mondo che dal cinema hollywoodiano di solito non appare. Condito con una storia d'amore nascente riesce a essere gradevole nonostante la pesantezza della realtà. |
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“Vogliamo il pane ma anche le rose”, “Bread and roses” per l’appunto: così recita un vecchio slogan di uno sciopero del 1912 del settore tessile americano. Loach, da buon militante politico, lo fa suo e rilancia la propria idea di sindacato e di coscienza di classe.
Scegliendo, per la prima volta, di ambientare un suo film in America, la città non poteva essere che Los Angeles, tra le metropoli più etnicamente diversificate del mondo. Si parte infatti con una telecamera a spalla che segue un gruppo di messicani che varcano il confine con gli Stati Uniti, ma il “Paese delle libertà”, già dai primi istanti, sembra tradire le loro aspettive. La protagonista, Maya, finisce grazie all’aiuto della sorella Rose – da tempo negli States – in un’impresa di pulizie e, forse perchè più pura e meno addentro al duro ed esigente “sistema americano”, trova la forza di ribellarsi a uno stato di sfruttamento.
Il messaggio di “Bread and roses” e soprattutto di Ken Loach è fin troppo chiaro: la lotta porta con sé molte conseguenze, spesso devastanti, e bisogna essere preparati a vedere incrinate molte certezze della propria vita. Proprio per questo un elemento così indispensabile come la difesa del rispetto e della dignità necessita di organizzazione e coesione. Il regista impartisce una lezione ideologica (leziosa) e politica, ma comprende anche le ragioni di chi non vuole o non può lottare, e in qualche modo è proprio a loro che si rivolge. Un inno all’inesauribile forza interiore del “proletariato”, degli “invisibili” – come vengono chiamati nel film – e all’incontaminata solidarietà delle popolazioni latine, che cresce esponenzialmente durante il film fino ad arrivare al punto di rottura – il punto-chiave – dal quale emerge il dolore, la rabbia ma anche la coscienza.
Momenti emozionalmente alti misti ad accadimenti da commediola. Un mix che finisce per non convincere a pieno, soprattutto se la spaccatura la si ritrova anche tra il Loach tecnico del cinema e il Loach creatore di personaggi. Un film a tratti eccessivamente teorico e discontinuo dunque, ma che ha il merito di sollevare La questione principe nella tana dei leoni (gli americani?): Collettività o Individuo? E’ una domanda retorica, ovviamente, perchè la risposta anti-individualista è così pervicace e melanconica da non lasciare molti spazi per variazioni sul tema. Ma Ken Loach è così, prendere o lasciare. |
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Commenti del pubblico |
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