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Città del Messico ,tre storie che si incrociano: il giovane teenager Octavio decide di fuggire con Susana, la moglie di suo fratello. Daniel, lascia moglie e figlia per andare a vivere con Valeria, una splendida modella. Infine, el Chivo, ex guerrigliero comunista che dopo aver passato diversi anni in prigione, è profondamente deluso dalla vita e dal lavoro di sicario. |
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Con la barba tagliata e gli abiti puliti, rimane qualcosa di "irreparabile" nel viso di El Chivo; forse la pelle segnata, forse gli occhiali tenuti su con lo scotch. Il rituale della foto-tessera, per la liberazione da un passato impossibile da capovolgere, è la fragile ricerca di un'immagine di sé ormai in frantumi.
Irreparabile è la morte di Ramiro e l'abisso che scava tra Octavio e Susana; irreparabile, per Valeria, è la perdita delle gambe. E l'incidente d'auto che allaccia le tre storie in un unico, violentissimo istante, condensa questa lacerazione irreversibile.
Ogni perdita è definitiva ed è l'unica "necessità" esistente.
Octavio e Susana, Daniel e Valeria, El Chivo e Maru: tre storie d'amore raccontate lungo percorsi diversi e con uno stile capace di oscillare dal pedinamento al distacco. Anche l'appartenenza sociale spazia dalla povertà disperata in cui annegano Octavio e Susana al mondo dorato di Daniel e Valeria, con El Chivo a fare da anello di congiunzione, ex-borghese ed ex-terrorista, ora barbone e sicario. Ma a unire le diverse storie è la presenza costante ed ossessiva del denaro, che non esprime semplicemente il funzionamento dei meccanismi sociali, ma si insinua nella vita dei protagonisti fino a pretendere di legittimarne il sentimento. E' come se il gesto amoroso prenda corpo innanzitutto nell'offerta di denaro in modo assolutamente ingenuo, ma finendo per generare una sorta di sfasatura che ne comporta il fraintendimento.
Anche perchè gli "amori cani" di Inarritu sono soprattutto amori sinceri, ma è come se il loro senso si ritrovi solo nella perdita, in uno slancio che cade nel vuoto e che può unicamente trasformarsi in un assolo disperato. Esemplare quindi il ruolo svolto nel film dalle fotografie; istanti sottratti al tempo e a questa terribile erosione dei corpi e degli animi. Il tempo scava intorno ai personaggi, scava la loro carne e il loro spirito privandoli di qualsiasi appiglio dentro e fuori di sé.
Camera da presa sempre a spalla, nessun carrello, quasi nessuna panoramica; il cinema che Inarritu ha in mente è fatto di altri movimenti.
La storia dei cani, in "Amores Perros", scorre parallela a quella dei protagonisti; una storia di corpi martoriati e abbandoni improvvisi, che fanno passare attraverso la telecamera l’odore e il sapore di questo ennesimo attraversamento del dolore.
La vita gli ha tolto tutto, ma, come recita la didascalia finale, a stabilire l'unico spiraglio in questa spietata logica esistenziale, "Siamo anche quello che perdiamo".
Presentato al Festival di Cannes: Gran Premio Miglior lungometraggio. Premio della critica giovani. Premiato ai Festival di: Bogotà, Chicago, Edinburgo, Flanders, Los Angeles, Tokio, Palm Spring. Candidato all'Oscar 2001 come Miglior Film Straniero. |
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niente male, davvero un film travolgente, c'è una grande forse espressiva e una narrazione complessa. niente colpa e espiazione (cliché in cui purtroppo cade 21 grammi), poesia in corpore vili
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L'esordio di Inarritu segna il suo stile, immediato e tragico, nel raccontare con un'estrema abilita' nell'uso della camera a mano un mucchio di vite che si scontrano fra loro (cosa che sara' il deus ex machina dei successivi 21 grammi e Babel): la prima parte sembra un film di denuncia sulla violenza e il degrado che esplodono nei bassifondi della metropoli, il secondo pezzo e' a tutti gli effetti un horror grottesco mentre l'ultimo episodio si concentra sul solo personaggio di El Chico, enigmatico sicario tormentato dal passato, con venature da thriller psicologico. E' il primo della cosiddetta "trilogia della morte" e a mio parere il meno incisivo, forse perche' la sceneggiatura di Arriaga e l'arrangiamento della storia sembrano incerti e meno maturi rispetto ai successivi (meno coinvolgenti la parte centrale e finale ma non per questo meno interessanti), anche si rimane attaccati allo schermo per la forza visiva trasmessa dal film.
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Massima espressione del cinema messicano e latino degli anni 90-00. Cinema postmoderno in salsa mariachi. Sorprendente e fondamentale.
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