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Tsui Hark, pietra miliare del cinema di Hong Kong, presenta fuori concorso al Festival del film di Roma il suo ultimo lavoro: “Missing” è film ibrido, a metà tra la storia d'amore e il film horror e scandaglia i fondali di un'oceano che è simbolo ma anche e soprattutto ricco di immagini potentissime. Ne esce fuori una storia ambigua ma affascinante, che poggia su una fotografia straordinaria e la usa per toccare l'inconscio più profondo dello spettatore e sfida l'orrore delle anime dannate. |
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Lei è sicuramente una pietra miliare del cinema di Hong Kong. In "Missing" racconta una storia forte, straordinaria e fantastica in molti suoi aspetti. Da dove nasce l'idea di questa sceneggiatura? |
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E' cominciato tutto un giorno qualunque, non stavo minimamente pensando di fare un film sott'acqua, ma anzi completamente differente. D'improvviso il mio sguardo ha incrociato uno schermo che stava proiettando un documentario sull'oceano e una città sommersa. Ne rimasi colpito, pensavo che ci sarei dovuto andare, trovare questa città di 10000 anni fa. Cominciai a essere ossessionato da quest'idea del subacqueo, volendo però collocarci il concetto della psicologia umana. |
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Nella Bibbia c'è una frase che dice "Puoi tu scandagliare le profondità di Dio?". C'è una dualità tra l'esplorazione delle profondità dell'Oceano e l'esplorazione dell'interiorità umana? |
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Penso che già quando si comincia soltanto a rendersi conto che 10000 anni prima di noi una civiltà ha vissuto in quella città, questo porta con sé molte domande esistenziali...cerchiamo una sorta di pace interiore, che si può raggiungere attraverso il cinema, attraverso l'arte in generale. Poi però viviamo in un mondo pieno di pressione e ci si dovrebbe chiedere perchè bisogna combattere tanto...a volte per cercare la giustizia perdiamo la giustizia stessa. Il film parla sostanzialmente di quello che dovrebbe essere la vita! |
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Il film parte da una base: preservare il nostro mondo. Poi però si passa attraverso la storia d'amore, cosa abbastanza inusuale per il cinema di Hong Kong. Quali sono le sue considerazioni al riguardo? |
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Fare Missing è stata una sfida. Per la produzione, che è sempre molto attenta al ritorno, è stata dura accettare un film del genere. Nessun altro film cinese ha fatto riprese sott'acqua. Tutta la troupe ha dovuto prendere lezioni di tuffi, di come stare sott'acqua, di come si riprende sott'acqua. Oltretutto eravamo in un'isola di 1500 persone senza quasi nulla, eravamo tutti sparsi...insomma è stato complicato. Il primo giorno di riprese sott'acqua la protagonista si è sentita male, ho ricevuto telefonate dai manager...è stato impegnativo per me, per lei, per tutti in generale. Lo stesso film è stato un scelta coraggiosa, mischiare una storia d'avventura e una d'amore è inusuale, impegnativo, però credo sia una scelta che ci permette di sentirci contemporaneamente giovani e vivi. |
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Che rapporto ha avuto con gli attori prima e dopo le selezioni? |
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Beh la prima domanda che facevo agli attori era: "Ti va di andare sott'acqua?". Poi gli ho fatto vedere il documentario, li ho visti mentre si tuffavano...l'approccio dunque era questo: "Hai paura dell'acqua, hai paura dei fantasmi?". Era importante, ci volevano le persone giuste. Anch'io ho voluto e dovuto imparare a tuffarmi e ad andare sott'acqua! Sono stato sempre con loro, ovviamente 'protetti' da esperti, da sommozzatori... |
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Quante settimane di lavoro sono servite per girare il film? |
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Parecchie settimane, non ricordo con esattezza quante. Il primo giorno mi ricordo che riuscimmo a girare solo una scena, ma era sbagliata, inutilizzabile. Il secondo giorno riprovammo, andammo di nuovo sott'acqua, ma il girato era ancora una volta pessimo. Poi però dopo qualche giorno ho capito come si gira in questi casi: è necessario girare continuamente, solo così ha una quantità tale di immagini che ti permette di avere quelle che ti servono. |
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Il suo film non è forse un semplice pretesto per far vedere immagini e sperimentare? |
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I cineasti hanno sempre due dimensioni: una è quella narrativa, una è il mondo all'interno del film. In questa pellicola c'è sicuramente qualcosa che non è del tutto compiuta, nel mondo marino c'è ancora molto da scoprire, in fondo è la parte più estesa della terra e ne sappiamo pochissimo, l'esplorazione ha ancora molti significati da scoprire.
Forse dò l'impressione di essere rimasto affascinato, che vorrei tornarci in quell'ambiente...e in effetti è proprio così, sulla terra ferma non troverai mai quel tipo di ambiente, di pace, di silenzio, di percezioni... |
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Ho trovato il suo film un melodramma travestito da horror, ho trovato un filo conduttore anche con il suo film The lovers. Volevo sapere che ne pensa al proprosito. |
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So che è un tabù fare un film ibrido, ma prima di decidere ho visto molti film dello stesso genere... ho visto splendidi horror e altri standard, volevo un horror con molti emozioni, l'ultima parte del film sembra un'odissea personale, cosa che trovo straordinaria! |
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Fuori dall'acqua ci sono i mostri, un po' come in amore. Il suo film non è un po' un passaggio attraverso l'inconscio, una descrizione di tutti gli elementi dell'amore? |
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E' un tipo di storia che non si vede spesso tra i film horror, ma io tendo a classificarlo più come una storia d'amore, quello che volevo era che lo spettatore uscisse dalla sala con una sensazione di romanticismo, più che con una sensazione di spavento. |
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Lei in questo film, così come nella sua filmografia, ha alternato molti generi. Ha una sua idea di cinema personale, anche in relazione alla contrapposizione tra autore e commerciabilità? |
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Rendo le cose semplici, altrimenti verrebbe fuori un discorso lungo e complicato,...ho sempre identità molto ibride, sento una personalità scissa. Credo di essere sia pubblico che cineasta, vedo film e dvd, mi accorgo che non ci sono poi così tante storie d'amore vere, il mio primo pubblico è il mio pubblico interiore. Non c'è nessun genere che io non abbia voglia di esplorare, da spettatore e da regista. Voglio essere capace di attrarre pubblici diversi, con esigenze anche diverse. |
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