Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Paolo Sorrentino Lo schermo come tavolo da lavoro

Invia questa pagina via e-mail a chi vuoi tu Stampa questa pagina
a cura di Glauco Almonte
E’ un film su Andreotti o è un film sull’Italia? Prima ancora che sia pronto il quarto lungometraggio di Paolo Sorrentino, il dubbio che per qualsiasi altro regista sarebbe lecito avere è già sciolto: “Il divo” è Giulio Andreotti, senatore a vita dal ’91, in Parlamento dal primissimo dopoguerra, sette volte Presidente del Consiglio, quasi Presidente della Repubblica, processato per associazione mafiosa e dichiarato colpevole, salvato dalla prescrizione. C’è tutta l’Italia di questi anni in un personaggio ambiguo non meno che importante, icona di un Paese da nascondere, costruito ad immagine e somiglianza di uomini di peso, di statura, e al tempo stesso capaci di abbassarsi dove la gente può solo sospettare, ma tira un sospiro di sollievo se gli viene concesso il beneficio del dubbio. Andreotti siamo noi, viva Andreotti.
Ma Andreotti è per Sorrentino principalmente un personaggio. Una mezza novità, dopo una galleria di figure anonime ma sempre più spregevoli, improvvisamente il regista napoletano (sue anche le sceneggiature di tutti i film che ha girato) salta da un ignoto usuraio, ignorato in vita e dimenticato un attimo dopo, all’uomo più importante e famoso della storia della Repubblica italiana. Un uomo oscuro, per sua stessa ammissione, il cui mistero è destinato a rimanere tale. C’è una caratteristica che accomuna tutti i protagonisti che Sorrentino sceglie di raccontarci: qualcosa che a prima vista ci è negato, sfaccettature che prendono corpo solo dopo aver girato attorno al personaggio più e più volte. Un mistero che non viene semplicemente rivelato, ma viene studiato, interpretato e forse, alla fine, capito. Dalla coppia di omonimi Antonio-Tony Pisapia de “L’uomo in più” al Titta Di Girolamo de “Le conseguenze dell’amore”, dal Geremia de “L’amico di famiglia” al divo Giulio: sono loro gli oggetti dello studio sorrentiniano, uno studio che procede per immagini, non per concetti; uno studio di qualcosa che probabilmente, sotto sotto, è banale, ma che può essere visto con uno sguardo diverso, come un mistero per l’appunto. E’ spesso una situazione, non una storia, il punto di patenza del cinema di Sorrentino, cinema che non si esplica attraverso lo svolgimento di una trama, ma attraverso un gioco di prospettive, un allontanarsi dall’oggetto per metterlo a fuoco in una maniera diversa, prima di riavvicinarsi e provare a penetrarlo. In questo gioco di punti di vista mai solasticamente definiti, ad allontanarsi insieme al personaggio è la realtà, che non tornerà più nel contatto successivo: è una fuga dello sguardo, che impara a dimenticare il reale e a plasmarlo secondo regole nuove.
Il segno distintivo di questo processo di astrazione è lo stile: a Sorrentino non piace lasciare lo spettatore ad assistere ad una storia come se fosse di fronte al televisore. Lo accompagna, guarda il film insieme a lui, e gli ricorda costantemente che quello schermo non è una finestra sul mondo, ma un tavolo di lavoro sul quale rigirare tra le mani la materia di studio. E’ un’iperpresenza registica, il riufuito del reality si consuma attraverso l’ostentazione della finzione scenica: emblematico è il prologo de “L’amico di famiglia” nel quale, con un movimento di macchina straordinario, Sorrentino si auto-proclama il regista tecnicamente più bravo e il più presuntuoso dell’attuale cinema italiano.
Dello stile di Sorrentino, al divo originale, non interessa: per la prima volta Giulio Andreotti perde il suo, di stile, assistendo in anteprima alla proiezione de “Il divo”. Non gli va giù il doppio ruolo di spettatore e di spettacolo, lui che è stato sempre il protagonista di un film che nessuno ha mai visto, ma ha solo sentito raccontare; adesso è lì, sullo schermo-scrivania, oggetto di studio. Poco importa che non sia realmente lui, il divo si riconosce nel personaggio sorrentiniano perché sa che non può fare altrimenti, che quel che vedono gli altri è ciò che conta davvero, non quello che sa lui. E allora, in quei pochi secondi in cui Giulio esce dal personaggio-divo, lo sentiamo commentare a denti stretti questa rappresentazione “maligna”, fatta con “cattiveria” e “non veritiera”. E’ un punto di vista su Sorrentino, visto da un’angolazione diversa, così come lui ci ha insegnato a fare nei suoi film.
Maligno, cattivo, bugiardo. O semplicemente anticonformista.
 » PAOLO SORRENTINO
 » FOCUS
 » FILM E RECENSIONI
 » HOME VIDEO
Youth - La giovinezza | Paolo Sorrentino
Youth - La giovinezza | Paolo Sorrentino
La grande bellezza | Paolo Sorrentino
La grande bellezza | Paolo Sorrentino
This must be the place | Paolo Sorrentino
This must be the place | Paolo Sorrentino
Il divo (Edizione Speciale - 2 Dvd) | Paolo Sorrentino
L'amico di famiglia (Special Edition - 2 Dvd) | Paolo Sorrentino
Le conseguenze dell'amore | Paolo Sorrentino
L'uomo in più | Paolo Sorrentino
 » INTERVISTE
Paolo Sorrentino | Paolo Sorrentino
Paolo Sorrentino | Paolo Sorrentino
Paolo Sorrentino | Paolo Sorrentino
 » LIBRI
La maschera, il potere, la solitudine. Il cinema di Paolo Sorrentino  | Paolo Sorrentino
Divi & antidivi. Il cinema di Paolo Sorrentino | Paolo Sorrentino