Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Recensione: Terra promessa (2004)

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Terra promessa
titolo originale Promised Land
nazione Israele / Francia
anno 2004
regia Amos Gitai
genere Drammatico
durata 90 min.
distribuzione Lady Film
cast A. Parillaud (Anne) • H. Schygulla (Hanna) • R. Pike (Rose) • D. Bespenchi (Diana)
sceneggiatura A. GitaiM. Sanselme
musiche S. Stockhausen
fotografia C. Champetier
montaggio I. IngoldI. MongaldK. Netanel
uscita nelle sale 20 Maggio 2005
media voti redazione
Terra promessa Trama del film
Sotto la luna del deserto del Sinai, alcune donne dell’Europa dell’est si scaldano intorno ad un fuoco. Prima dell’alba, un gruppo di uomini locali farà entrare Diana e le altre donne in Israele. Lì, Hanna, trafficante di schiave bianche le venderà all’asta come bestiame. Le vittime sono destinate ad essere vessate, percosse e stuprate. Non avranno altra scelta, che fare ciò che verrà loro ordinato da Anne nell’appartato Hostess Club. L’arrivo di una giovane turista, Rose, offre loro uno spiraglio di speranza in questa lenta discesa verso l’inferno…
Recensione “Terra promessa”
a cura di Andrea Olivieri  (voto: 7)
"Sfruttate, brutalizzate, violentate, le vittime sono le schiave del XXI secolo..."

È un meticcio "Hotel Promised Land" che cattura il senso d’urgenza; arabi e israeliani coprono gli spazi. Abbandonata ogni speranza di dialogo pacifico, il Medio Oriente dell'ultimo film di Gitai è un luogo dove l'unica lingua comune tra arabi ed ebrei è quella del denaro e degli affari sporchi.
Ormai è esplosa la tratta delle donne dell’est. Merce umana attraversa il deserto del Sinai per giungere sul Mar Rosso e in altri territori mediorientali ad affollare locali a luci rosse. Strappate ai loro paesi d’origine, si ritrovano catapultate in un mondo surreale da percepire non da dentro ma da dietro un camioncino, come bestiame al macello.
Le bombe coprono illusioni, ma paradossalmente aprono possibili spiragli di fuga, insperati bagliori di libertà.
L’"inganno" è nell’incipit e nel finale: l’immagine trasmette speranze solo all’inizio, con la luna alta e splendente e cammelli al passo ritmato, e poi in fondo all’intreccio, quando un kamikaze fa saltare in aria la casa d’appuntamenti permettendo alle superstiti di scappare sulla strada ripresa in piano lungo.
Un Gitai ritrovato cavalca pienamente il suo cinema di frontiera; trasversale, frammentato, discontinuo, mai così combattivo, il cineasta impugna un coraggio tematico e narrativo con pochi eguali: da "Kippur" l’israeliano non era mai stato tanto solido e diretto.
Presentato in concorso a Venezia (2004).
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