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Rebecca è americana ma da alcuni mesi vive a Gerusalemme perché sta per sposarsi. Purtroppo però le cose non vanno come lei aveva sperato e una volta rotto il fidanzamento si allontana a bordo di un taxi. Alla guida dell'auto c'è Hanna, una ragazza israeliana. Le due donne cominciano, così, un viaggio attraverso i confini giordani prima, la Free Zone poi, finché non incontrano Leila... |
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L’inizio è di quelli che non si dimenticano: Natalie Portman piange ascoltando (per intero) la versione araba della “Fiera dell’Est” di Branduardi. Nemmeno cinque minuti, e Amos Gitai è già in forte debito nei confronti dello spettatore: si salva, in quest’inizio, con l’interminabile primo piano d’una Portman sempre più bella man mano che il trucco, sciolto dalle lacrime, le colora le guance.
Quando l’auto si muove, e la camera rimane su Natalie, improvvisamente torna ad esistere il mondo attorno a lei, dall’ombra dello specchietto retrovisore inizia ad affiorare la sua compagna di viaggio, dal riflesso del finestrino i suoi ricordi.
Rebecca, Hanna, Leila: Amos, nelle vesti di sceneggiatore oltre che regista, racconta poche ore della vita di tre donne diverse per età, carattere e passaporto. Lo spazio nel quale interagiscono è prevalentemente l’abitacolo della macchina di Hanna, a cavallo di una strada che parte dal Muro del Pianto, da Gerusalemme le porta in Giordania, nella Free Zone, e poi nuovamente indietro.
Rebecca, metà americana e metà israeliana, in nessun posto a casa sua, si trova ad essere spettatrice di un orrore che non riesce a sentire suo, al contrario delle altre due donne: i loro affari, i loro problemi personali prevalgono nel contesto di una guerra infinita, unica vera sicurezza in Israele. Battibecchi, raggiri, sfiducia: il loro rapporto, nella giornata che stanno condividendo, è segnato da pregiudizi radicati nel loro sentimento di popolo (in questo prevale l’inflessibilità di Hanna, sempre misurata nell’interpretazione di Hanna Laslo, premiata come miglior attrice al Festival di Cannes del 2005, con in testa unicamente il suo scopo, una missione per la quale una compagna è d’intralcio, l’altra è il ‘nemico’); Rebecca assiste, interviene, poi scappa.
Attorno a loro, tutto fa rumore, ma in realtà nulla si muove nella convulsione della quotidianità: così i soldati alla frontiera e per la strada, così i civili, gli abitanti del villaggio incendiato, la gente dentro e fuori la Free Zone. Quello di Rebecca non è un viaggio, ma l’attraversamento di un Inferno nel quale l’uomo s’è condannato da solo. In fondo al quale non ha modo di uscire a riveder le stelle, ma può soltanto girarsi e tornare indietro. Correndo. |