Non un’unica storia, ma mille frammenti di vita quotidiana, in una città, Marsiglia, illuminata dal sole e dalle infinite varietà del blu del mare. Gli scorci suggestivi delle vie dinanzi al porto, rappresentano un violento contrasto con la periferia degradata ripresa come sfondo, come paesaggio immobile in cui si rappresenta la tragica commedia della vita.
Il mercato buio e soffocante nelle luci di un mattino perennemente uguale a mille altri, il freddo che ti prende le mani e il cuore mentre tra la noia e la fatica ti accingi a maneggiare l’ennesimo carico di morte e solitudine: questa è l’inquadratura iniziale, questa è la realtà di Michèle, questo è il senso profondo di una città che non ti concede tranquillità, ma che ti lascia affogare lentamente nella disperazione.
Sono squarci fugaci, scene rubate di una città invisibile, che risplende nella luce accecante del tramonto e poi si richiude sui commedianti di una compagnia dei miserabili: Michèle, una donna privata dei suoi affetti, che si aggrappa alla vita e al sogno di una favola dell’infanzia che rivive nella nipote, Ameline, una bimba di pochi mesi, unica nota positiva, forse perché ancora ignara…una donna che lotta per la salvare la figlia dall’incubo della droga, che si dibatte nella rete di un matrimonio fallito. Viviane, una musicista che trova pace e serenità lavorando con i disabili e s’innamora di Abderamane, un immigrato che, uscito di prigione, cerca di cambiare le idee fondamentaliste dei suoi compagni di strada e viene ucciso da un gruppo di disoccupati di estrema-destra; Paul, un uomo debole che cerca un riscatto nel suo lavoro di tassista, che non riesce a vivere l’amore in modo maturo e si accontenta di sognare frequentando le prostitute. Gerard, un uomo misterioso, che di fronte alla scoperta improvvisa e violenta dell’impossibilità di vivere si toglie la vita.
Un film riflessivo e nello stesso tempo molto emotivo, molto forte, uno studio della natura umana, che non ricerca mediazioni e si svela lentamente nella sua crudezza, in un pessimismo che non lascia trapelare vie di fuga.
Guediguian con questo film non lascia spazio ai sentimentalismi, ma realizza un’opera difficile da dimenticare, soprattutto per il forte apporto emotivo, per le immagini che seguono un tempo e uno spazio propri, per la difficoltà di accettare una realtà che non vorremmo nostra.
Non c'è, in questo film, possibilità di articolare il pensiero, di elaborare dubbi, perchè la conclusione del racconto, di tutte le storie che s'intrecciano, è fissata ad una rigida visione del mondo.
La sfiducia, probabilmente definitiva, nel genere umano, nella sua intima forza di reazione alle condizioni brutali della sopravvivenza e all'insensatezza dell'esistenza in mancanza di una qualsiasi fede.
Al contrario di certe analisi sociali-politiche più "distaccate", come quelle di Ken Loach o Cantet, sembra che il cinema di Guediguian sia sempre più dipendente da un particolare umore, da un sentimento affranto della vita umana che si traduce in immagini pose, primi piani che esaltano l'espressione di dolore sui volti dei personaggi, apparendo congiunte ad uno sguardo di remissiva commiserazione di un mondo cinico e indifferente.
Malgrado tutto ciò, il film riesce a rifiutare ogni illusione consolatoria, ma senza invitare mai alla disperazione.
Presentato nella selezione ufficiale della 57ma mostra di Venezia. |
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