Per rappresentare uno dei temi centrali del cinema cinese, il conflitto fra tradizione e nuovo che avanza, il regista indipendente Zhang Yuan, ha scelto questa volta una parabola esemplare. Pur mostrando una società povera e travagliata tra passato e presente, contiene un'opzione di fiducia enormemente ottimistica: è possibile la redenzione attraverso il carcere, a patto dell' impegno personale e del senso di umanità individuale.
Dal punto di vista estetico, il merito maggiore della pellicola, è il modo in cui riesce a mantenere l'equilibrio tra una sobrietà d'immagine quasi documentaristica e il rispetto delle leggi drammaturgiche del mélo. Un melodramma rigoroso e scarnificato, tanto più efficace proprio per questo.
La vicenda, caratterizzata dall'esplosione di passioni assolute e contrasti familiari, sembra tratta da una tragedia classica, ma la messa in scena, semplicissima e lineare, rimanda alla tradizione neorealista. Come il cinema neorealista dell'Italia post-bellica era stato capace di raccontare nel modo più efficace la realtà dell'epoca, anche "Diciassette anni", quasi senza averne l'aria, offre una serie di interessantissime informazioni sulla Cina dei nostri giorni.
Lo sguardo di Zhang Yuan è decisamente problematico, e proprio questo deve avere infastidito le autorità cinesi, che, almeno in un primo momento, avevano vietato la circolazione del film.
Gran Premio della Giuria a Venezia. |