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Tsotsi ha 19 anni e vive in una baraccopoli nella periferia degradata di Johannesburg, in Sudafrica. Non ricorda nulla del suo passato, neanche il suo vero nome. Tsotsi (trad. lett. 'gangster') infatti è un soprannome che gli è stato dato nel ghetto in cui vive. Nonostante la giovane età è già a capo di una piccola banda di malviventi che comprende Butcher, Boston e Aap. Una sera, dopo aver bevuto troppo e litigato furiosamente con uno di loro, Tsotsi inizia a vagare per le strade in preda all'alcool e ai fantasmi del passato... |
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Il film apre con la scritta “nel linguaggio slang Tsotsi vuol dire criminale”. Si capisce subito, dunque, come il regista Gavin Hood voglia provocatoriamente “orientare” lo spettatore. Così come diventa prevedibile una possibile redenzione finale del protagonista. Tutto questo, unito a una storia fondamentalmente debole, potrebbe quindi apparire preoccupante per chiunque non abbia visto il film. Ma il vero valore di questo “Il mio nome è Tsotsi” risiede proprio nel modo in cui gli accadimenti vengono raccontati, nell’evitare la maggior parte dei sentimentalismi (nonchè delle banalità), in un’ambientazione e una fotografia che risultano appropriate e, più in generale, in una genuinità e autenticità di fondo.
Il mondo sudafricano dei giorni nostri in cui è ambientata la vicenda fa paura. In una Johannesburg così piena di contrasti e di violenza, la vita è stata quasi svuotata di ogni suo possibile valore. Chi non ha niente da perdere non conosce la paura, chi ha un passato da dimenticare non ha ragioni per difenderlo (emblematico a questo proposito il fatto che del protagonista tutti conoscano solo il soprannome Tsotsi e non il suo vero nome). Se sì è vittime “ingenue” di un contesto non si sente il peso di una coscienza e di una dignità perche mancano le fonti a cui ispirarsi.
Tuttavia, perché un tuttavia ci deve pur essere, il messaggio del film è chiaro: tutti, prima o poi, ci dobbiamo scontrare con le conseguenze delle nostre azioni. La giustizia è un tema così delicato e complesso da non meritare volgarizzazioni, ma ciò che risulta chiaro è che è un fattore che dipende necessariamente anche dai singoli individui.
Un piccolo neonato che il diciannovenne Tsotsi trova in seguito all’ennesimo furto, fa crescere in lui dubbi e remore sulla propria vita. Rivede nella purezza e nell’innocenza del bambino quello stesso punto dal quale anche lui era partito.
L’attore protagonista, così come la quasi totalità del cast del resto, è all’esordio e, seppure elogiato eccessivamente dalla critica, contribuisce a calare lo spettatore nel giusto clima.
“Il suo nome è Tsotsi” è un film intelligente, una punta astuto e calcolatore, ma che se non altro fa riflettere. Con una vena di speranza, ma non poi troppa in fondo…
Vincitore del Premio Oscar 2006 come Miglior film straniero.
Premio del pubblico al Festival di Toronto e al Festival di Edimburgo 2005. |
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Commenti del pubblico |
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