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Per difenderlo da abusi e maltrattamenti, il Tribunale dei Minori sottrae alla sua famiglia Mario, un bambino di nove anni e lo dà in affido provvisoriamente a una coppia di quarantenni non sposati appartenenti all'alta borghesia, Giulia e Sandro, che da tempo stavano cercando di adottare un bambino. Giulia è a suo agio nella condizione di mamma, Sandro, invece, è spaventato dalla nuova situazione e dalla realtà con cui si deve confrontare. Mario si trova improvvisamente proiettato in un mondo che non riconosce in cui i nuovi genitori lo viziano accondiscendendo ad ogni suo desiderio. |
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L’unica libertà è l’intelligenza
Cosa sia giusto, e chi debba deciderlo. Ma soprattutto, in che modo accorgersene, quando la comunicazione è ostacolata, avversata, interrotta.
Chiuso nel suo mondo, fatto di ricordi celati, slanci verso il nuovo e diffidenza nei confronti del vecchio, di chi gli sta attorno e vorrebbe (dovrebbe) aiutarlo, Mario vive i suoi 9 anni pensando che l’essere diverso dagli altri sia un gioco, un semplice punto di vista.
Per un nuovo compagno che si sposta tra il padre e il nonno, Mario viene spostato dalla sua famiglia ad un’altra, parcheggiato pochi mesi e ‘inoltrato’ a una terza. Oggetto della sua stessa vita, in balia di psicologi e assistenti sociali che invece di aiutarlo gli impediscono di costruirsi un rapporto sereno con la sua nuova famiglia, Mario parla (poco) del mondo ma tace di sé.
Giulia, conducendo una battaglia difficile, in faccia ai propri giudici, è destinata alla sconfitta: una sconfitta dura, nel precipitare quasi inatteso degli eventi, quando ormai si poteva scorgere una possibilità di successo; una sconfitta che ha un nome, Mario, e un unico, grande, incolpevole colpevole, la società.
“Preferisco la disobbedienza” è il perdente cavallo di battaglia di Giulia: non è lei a decidere, non è né potrebbe essere Mario, non è sua madre. In fondo, nessuno decide, tra persone portatrici di ogni soluzione, arbitri impotenti, tolleranza apparente che man mano si rivela indifferenza.
Valeria Golino sembra a suo agio in un ruolo nervoso, fatto di continui sbalzi tra preoccupazione e (apparente) tranquillità, o comunque un’espressione tranquillizzante; gli altri personaggi sono statici, leggermente stereotipati, ma rendono pienamente il confronto tra un ragazzino che non comunica ed un mondo che “non gli appartiene”.
Lunghi silenzi, tra un dialogo e l’altro ma anche tra una domanda e una risposta: tempi inutili, perché alla fine la risposta è sbagliata. |