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In una Roma mondana, quotidiana, reale, Paolo e Céline si sfiorano di continuo; ma i drammi di ciascuno, gli affetti, i piccoli e grandi impegni impediscono loro di accorgersi l'uno dell'altra. Céline è un'attrice, ha trent'anni, una relazione alle spalle, una bambina di dieci. Paolo è un bravo fotografo, sulla quarantina, il cui animo infantile lo allontana dal considerare una relazione approfondita con una donna. |
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Un tocco leggero, “Sfiorarsi” è il caso in cui il critico può sfoderare il latino per un luogo comune poco cinematografico, ma che questa volta è azzeccato: nomen omen.
Angelo Orlando, noto al pubblico televisivo per le sue partecipazioni al Maurizio Costanzo Show, torna alla regia per la terza volta in più di dieci anni: non è il suo lavoro principale, ma dimostra di sapersi muovere bene – mentre come attore non si discosta dal personaggio già visto in tv o a teatro. Al suo fianco, non solo come attrice ma anche come sceneggiatrice, troviamo Valentina Carnelutti, da sempre impegnata in progetti innovativi, rischiosi o quantomeno originali; l’originalità di “Sfiorarsi” è più nella distribuzione del film che nel film stesso: la permanenza della pellicola nelle sale dipende dal numero di biglietti che saranno acquistati in prevendita.
Se il film non brilla per originalità, bisogna però riconoscere che si segue piacevolmente, nonostante sia troppo lungo rispetto al debole pretesto. L’inizio è uno shock, ma apena finisce il prologo si tira un respiro di sollievo: il film è girato correttamente, gli attori recitano per davvero.
Paolo e Céline si sfiorano per metà film secondo uno schema classico: stessi luoghi, stessi momenti o quasi, diverse traiettorie nel camminare, di sguardi, o di pensiero. Una, due volte; tre, quattro. E avanti, Paolo e Céline sembrano non volersi incontrare mai. Poi s’incontrano, e ovviamente s’innamorano. Senza un perché l’amore viene tradito, e poi ripreso, e poi spostato da Roma a Parigi: non è la vita reale, ma il pregio di “Sfiorarsi” è che non vuole far credere di parlare della realtà. E’ soltanto una possibile realtà prossima al paradosso, più vicina a una favola che altro; le atmosfere sospese sono rese, oltre che dalla trama, dallo sguardo dei due protagonisti, sempre inconsapevoli di quel che sta accadendo dapprima intorno a loro, poi a loro stessi.
Aspetto nient’affatto secondario, in sala si sorride spesso, a volte si ride: come detto non c’è originalità, ma il clima leggero fa sì che situazioni divertenti rimangano semplicemente tali, perdendo molto del retroscena triste che le accompagnerebbe in una (ormai è il caso di dire ipotetica) realtà.
Senza dubbio il risultato finale è all’altezza, ma anche oltre, di molte delle commedie – italiane e non – che escono in centinaia di sale e incassano in proporzione. |