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Libano 2006. Una donna cerca suo figlio. Un uomo l’accompagna. Sono profondamente diversi ma si ameranno, quasi in risposta alla morte che colpisce tutto attorno a loro. A recitare solo due attori, tutti gli altri - rifugiati, giornalisti, militari, religiosi - sono persone vere, sotto le bombe, rigorosamente vere... |
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Nel 2006 il Libano è impegnato nella terza guerra israelo-libanese. Ai 33 giorni di bombardamenti israeliani segue un cessate il fuoco non completamente rispettato. Philippe Aractinghi, nato nella capitale Beirut, decide di dover documentare in qualche modo l’angoscia di tutti gli innocenti, possibilmente in tempo quasi reale. Lo fa scegliendo la via del docu-fiction (similmente a “The Road to Guantanamo”), mischiando attori professionisti con gente che abita realmente tra le rovine lasciate in eredità dal conflitto e optando per l’economicità e la praticità del digitale.
“Sotto le bombe” è un film che mira a raccontare la precarietà della vita, provando la via delle emozioni anziché quella dell’intelletto di un tipico documentario. Le speculazioni artistiche sul dramma sono piuttosto limitate e si finisce per seguire il viaggio verso il sud della protagonista Zeina con una discreta partecipazione. La ricerca del figlio e della sorella sono infatti un pretesto per condurci in un viaggio che mostra tutte le contraddizioni di una guerra, senza troppo schierarsi politicamente, ma scegliendo un punto di vista ben preciso: quello degli innocenti. Al sud, zona calda, non vuole andarci nessuno. Zeina trova un tassista che è disposto ad affrontare il viaggio per 300 dollari. I due impareranno a conoscersi e soprattutto a condividere il dolore, facendosi forza l’uno con l’altro. Entrambi rimpiangono una pace che non c’è più e che sembra ormai definitivamente perduta. La desolazione e l’angoscia avvolge ogni corpo, vivo o morto, che si incontra lungo il cammino e lo stesso territorio, con le sue strade interrotte e i ponti crollati, sembra privato volontariamente di vita.
La pellicola, che riuscendo a guardare con distacco può apparire anche prevedibile e dottrinale, ha un buon ritmo ed è, in realtà, un utile strumento per dare voce e far condividere emozioni a chi, volente ma soprattutto nolente, si è ritrovato in una guerra e ha visto la propria vita inspiegabilmente stravolta.
Il Libano è ora territorialmente e umanamente lacerato: si contano più di 1.000 morti e più di un milione di profughi. Che “Sotto le bombe” ne parli, in un modo tutto sommato più che accettabile, è soltanto un bene. |