Riunioni sotterranee, bandiere bruciate, lanci di molotov con conseguenti cariche della polizia: un film già visto? Solo in parte. La prima, per l’esattezza, nella quale la guerriglia urbana occupa tutto lo spazio della narrazione, relegando, apparentemente, le caratteristiche individuali dei personaggi a semplice accessorio della narrazione. Questo almeno lascerebbero intendere alcune tra le scene di maggiore spicco dell’intero film, dalla lunghissima (per l’abitudine odierna) sequenza del lancio di pietre e molotov dietro le barricate incendiate all’avanzata, in un’atmosfera da deportazione, dei ragazzi come zombie, armati nella notte di fiaccole e forconi (potrebbero quasi dar la caccia alla Creatura, se solo corressero, o gridassero un po’). Ma c’è un momento preciso in cui Garrel cala la maschera rivelando il suo vero intento: le scene degli scontri sembrano ancora l’unico filo conduttore del film quando la macchina da presa segue un ragazzo che corre, lancia qualcosa (un sasso, presumibilmente) e torna indietro, senza mai staccarsi da lui, senza rivelare allo spettatore gli effetti del lancio. Da qui in avanti (e non sarà poco, data la lunghezza del film) l’evento ’68 scivolerà dapprima ai margini delle vicende dei ragazzi, quindi rimarrà un ricordo, utile allo spettatore per collocare storicamente le situazioni di vita quotidiana cui va incontro.
Alla luce del cambiamento di registro, viene capovolta anche la funzionalità del bianco e nero: negli esterni della parte iniziale è un semplice richiamo ai filmati dell’epoca, quando l’azione si sposta negli interni diventa il principale strumento di comunicazione, accentuando grazie ad una profusione di luci artificiali l’espressione dei volti, sfumando alle loro spalle gli ambienti.
Anche se al centro della storia è indubbiamente François, tutta la parte centrale ha la funzione di bilanciare quello che ormai si è rivelato un preambolo, col moltiplicarsi dei personaggi che fanno la loro comparsa ed echi dello scontro sociale, utili al più per una presa di posizione contro i militari (“I Rimbaud, i Baudelaire, bisogna metterli in prigione”, le parole che vorrebbero suonare come una sentenza contro François, sentenza contro chi le pronuncia, in realtà).
Dopo un omaggio a Bertolucci, citandone Prima della rivoluzione, e un momento di stasi dovuto alla dilatazione dei tempi narrativi, a volte un po’ forzata (spesso col risultato di un’apparente impassibilità da parte dei ragazzi di fronte agli eventi), nel quale l’unico momento degno di nota - ma non di memoria – è una scena i cui la giovane scultrice fa la morale guardando la cinepresa, la storia lascia aperte le strade di quasi tutti per terminare soltanto quella dei due amanti, finché due lettere della ragazza la rimuovono dalla scena e lasciano al poeta ventenne il palcoscenico, sul quale dar vita ad un finale di folgorante poeticità.
Leone d’argento per la miglior regia e Osella per la fotografia a Venezia 2005. |