Un invito, e che invito, a non prendersi troppo sul serio, "Io restai a chiedermi se l'imbecille ero io, che la vita la pigliavo tutta come un gioco, o se invece era lui che la pigliava come una condanna ai lavori forzati; o se lo eravamo tutti e due.". Una grande amicizia contornata da "zingarate" esilaranti e un finale agrodolce: "L'eternità è solo un attimo, quanto basta per uno scherzo." (Hermann Hesse)

Quello che a malapena tiene in piedi questo film è la canzone napoletana. Balletti inqualificabili, quasi da step-up, tra le strade di una città, che come diceva Mastroianni, è l'unica ad aver rifiutato la "cultura" americana nel secondo dopo guerra. La rappresentazione di "Don Raffaè" fa rabbrividire, difficile fare peggio.

Un film a metà strada tra il drammatico e la commedia, come i nostri tempi, non si sa se ridere o piangere. Volutamente surreale, descrizione perfetta di un attaccamento ai media morboso, a tratti assurdo, tale da coinvolgere ogni strato sociale e ampie fasce d'età. Finale agghiacciante e quanto mai vero: al termine dello show non resta che cambiare canale... Pronti all'ennesimo show, popolato da personaggi raccapriccianti, altro che Truman!

Affascinante la descrizione di una società che poggia su regole ataviche, la crescita e la rigida educazione di quattro amici. Colpisce lo scontro, ben rappresentato, con la Russia avviata alla "modernità", la caduta del muro di Berlino che non lascia indifferente nemmeno la sperduta Siberia. La seconda parte del film non segue i presupposti della prima, portare alle estreme conseguenze l'educazione siberiana non sembra abbastanza.

Un viaggio magnifico, dai ricordi di un'infanzia felice, dove il protagonista si rifugia, alla trasformazione nel gelido professore. Un uomo diventato inquieto, che sconta la pena della solitudine, destato solo da incubi che gli mostrano ciò che tiene nascosto a se stesso: la paura di essere morto pur essendo vivo.

Ridare valore all'arte, renderla accessibile a tutti, da chi sembra abbia perduto l'essenza della vita, la libertà, a chi troppo spesso la spreca. Dalla frase del Cassio napoletano, ci si accorge del valore di questo film: "Da quando ho conosciuto l'arte, questa cella è diventata una prigione.". E' difficile immaginare qualcosa che sia in grado di contrastare parole come "Fine pena mai", questa storia, vera, toccante e di rinascita possibile ci riesce in pieno.

La continua riproposta di luoghi comuni e l'immancabile amnesia. Più che commedia degli equivoci: commedia del ridicolo.

"Appuntamento a Belleville" non è, come si intuisce sin dalle prime scene, un semplice film d'animazione, ma una novità affascinante. Un film che pur essendo quasi del tutto privo di dialoghi, non annoia; una spietata critica alla società occidentale, alla patria del traffico, del consumismo e degli obesi rappresentata da una grassa statua della libertà che regge nella mano un hamburger.

"A tutto si rimedia, meno che alla morte". Il film ci mostra che c'è dell'altro, che l'ingiustizia, la rabbia e la miseria sono del quotidiano e la sconfitta dell'ordinario. Una lotta tra poveri che difficilmente avrà vincitori. Commovente la figura di Bruno, interpretato magnificamente.