Un gioiellino del grande Quentin, realizzato tra i ben più noti Pulp Fiction e Kill Bill. Non sono molto d’accordo con chi lo definisce poco “tarantiniano”. I caratteri del miglior Tarantino ci sono eccome, personaggi, dialoghi ed intreccio non si discostano molto dai film migliori. Il fatto che venga data meno evidenza ad una violenza stile splatter non impedisce certo a Jackie Brown di ben figurare tra le grandi opere del regista.

‹‹Mi dispiace, ma io non voglio fare l'imperatore: non è il mio mestiere; non voglio governare né conquistare nessuno. Vorrei aiutare tutti, se possibile: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi esseri umani dovremmo aiutarci sempre, dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo, non odiarci e disprezzarci l'un l'altro. In questo mondo c'è posto per tutti. La natura è ricca, è sufficiente per tutti noi; la vita può essere felice e magnifica, ma noi lo abbiamo dimenticato››.
‹‹A coloro che mi odono, io dico: non disperate! L'avidità che ci comanda è solamente un male passeggero, l'amarezza di uomini che temono le vie del progresso umano. L'odio degli uomini scompare insieme ai dittatori e il potere che hanno tolto al popolo ritornerà al popolo e, qualsiasi mezzo usino, la libertà non può essere soppressa››.

Bastano pochi gesti, poche parole perché nasca un’attrazione, un amore. Così come bastano poche immagini, pochi frammenti per delineare un intenso capolavoro di genuinità e sentimento. Unico nel suo genere.

Reminiscenze dell’età dell’oro hollywoodiana.

Anche dopo questo, credo che continuerò ad associare Robin Hood ad una volpe e Little John ad un orso.

Grande prova di versatilità di Jim Carrey. Una commedia dolce e malinconica al contempo, basata su una sceneggiatura a tratti sublime. Ottima l’alternanza temporale tra narrazione effettiva, ricordi e sequenze oniriche, che inevitabilmente rimanda a Vanilla Sky o Abre los Ojos, se preferite. Peccato solo per il titolo italiano che dà molto l’idea di commediola adolescenziale, meramente ridicolo.

Uno dei primi di una serie innumerevole di capolavori. Irriverente, geniale, esilarante Woody.

A dieci anni dal ’68, Nanni Moretti narra il tramonto di una cultura, quella dell’attivismo e delle rivoluzioni. Dinanzi agli occhi lo sgretolarsi di tutte le componenti basilari del vivere umano: l’amore, l’amicizia, la famiglia, l’impegno sociale. Dissacrante, senza mezzi termini.

Un film amaro, che disturba, capace di far male. Come un pugno allo stomaco.

Visto quasi “per caso” in sala, con piacevole sorpresa, durante una maratona del grande Sidney Lumet.
Film minimalista solo all’occhio. Lo spettatore viene inevitabilmente proiettato nella vicenda, diventando l’ipotetico “tredicesimo uomo”, ed evolve il proprio giudizio al pari degli altri dodici, lasciandosi infatuare di buon grado da un eccelso Henry Fonda.
Magistrale.

Grandi vicende storiche esercitano sempre grande fascino, soprattutto se vi è di mezzo un assassinio “illustre”. Tanto basta ad un legal thriller che, grazie ad un buon ritmo e ad una convincente interpretazione, nonostante non spicchi per originalità tra le pellicole di genere, risulta comunque godibile.