Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Musical Musical e film musicali degli ultimi 10 anni

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a cura di Glauco Almonte
L’uscita in sala di “Passione”, documentario musicale di Turturro su Napoli presentato all’ultimo Festival di Venezia, è l’occasione per fare un po’ d’ordine su quella che è stata l’offerta musical/musicale di questo decennio. Prima di tutto però bisogna dare un nome alle cose, ovvero ai diversi generi che compongono quelli che, nell’immaginario collettivo, sono il film musical e il film musicale. Il musical, genere nobilissimo che ha fatto la storia del cinema dagli anni ’30 (Fred Astaire, Ginger Rogers, quando era puro intrattenimento privo di contenuti) al rilancio di fine anni ’70, passando per i ’50 di Gene Kelly, è oggi prodotto con una certa costanza solo negli States: questo genere continueremo a definirlo “musical classico”, con i derivati che vedremo; la “commedia musicale”, priva dei ‘numeri’ che interrompono l’azione, da Judy Garland in poi ha preso sempre più piede, con tante sfumature da riempire la distanza che va dalla commedia semplice a quella musicale. Da questi due capostipiti nascono diversi sottogeneri: il biografico, le trasposizioni cinematografiche di opere e concerti, il documentario musicale nelle due versioni: monografico e socio-etnografico.
Per l’Italia sarà fatto un discorso a parte, mancando la cultura produttiva di opere del genere: meno di un film l’anno vuol dire iniziativa individuale, a cui in pochi casi ha risposto positivamente un pubblico non abituato e perciò diffidente. Non c’è spazio invece per l’animazione: da Tim Burton alla Disney, per quanto i prodotti ricalchino i musical classici, ci troviamo di fronte alla semplice evoluzione di un genere, anzi di una tecnica, che è sempre stato così, fin da “Biancaneve”. Lo spazio che l’industria di Bollywood meriterebbe è invece negato dalla mancata distribuzione in occidente dei prodotti indiani, situazione che muterà nella prossima decade con le molte co-produzioni avviate che vedono all’opera anche registi di primo piano.

Il musical classico:

Il più famoso è il primo: il nuovo millennio si apre con “Moulin Rouge”, con grande clamore attorno alla pellicola e all’ottima interpretazione di Nicole Kidman che, chiudendo il cerchio, sarà una delle interpreti dell’ultimo musical della decade, “Nine”, deludente remake di “8 ½” girato da quel Rob Marshall che, nel 2002, da coreografo si dà alla regia con “Chicago”. Oltre a “Chicago”, altri due film sono legati a Broadway, il modo migliore per ottenere lo stesso successo con due prodotti; si tratta della ‘gaia commedia’ di Mel BrooksThe Producers” e di “Dreamgirls”, operazione superficiale che però si ricorda per ben quattro motivi legati ai suoi interpreti: l’esordio da attrice della cantante Beyoncé, la grandissima prova di Jennifer Hudson, Eddie Murphy a suo agio in un ruolo drammatico e il ‘numero uno’ tra gli interpreti di quest’epoca, Jamie Foxx, che in 5 anni si cimenta in tre opere tra musical e biografie musicali.
I prodotti migliori sono però opere originali, slegate dal connubio con Broadway: ad aprire le danze è Turturro, cinque anni prima di “Passione”, con “Romance & Cigarettes”: un musical che, caso più unico che raro, si avvale di un’ottima sceneggiatura; sceneggiature più banali, ma grande energia per due opere legate ad un gruppo specifico, gli Abba per “Mamma mia!” e i Beatles per “Across the Universe”. Chiudiamo infine con Tim Burton che, animazione a parte, regala un vero musical con atmosfere horror ai suoi feticci Johnny Depp e Helena Bonham Carter: “Sweeney Todd”, un’opera che ha deluso per la grande aspettativa che aveva creato. Aspettativa non minore è per “Cleo”, la versione di Soderbergh di Antonio e Cleopatra, in uscita l’anno prossimo.
Non meritano un paragrafo a parte i derivati del musical classico, ovvero le opere tutte uguali tra loro e di bassa qualità, prodotte solo per spremere soldi da un’idea vincente: da “Hannah Montana” a “Ballare per un sogno”, da “High School Band” alle trilogie di “Step Up” e “High School Musical”, la costanza con cui questi prodotti invadono le sale di tutto il mondo è una delle cause della crisi produttiva e distributiva del musical classico, con opere mai distribuite in occidente (“Princess Raccoon”) o in Italia (“Christmas on Mars”), e che solo in patria hanno avuto successo (“Les chansons d’amour”). Della stessa pasta sono i numerosi remake di questi anni, figli dei vari “Flashdance”, “Cabaret” e “Saranno Famosi”: in ordine cronologico, si tratta di “Honey”, “Il fantasma dell’opera”, “Hairspray” (il ritorno di Travolta, trent’anni dopo “Grease” e “La febbre del sabato sera”), “Fame”, “Burlesque” e il prossimo venturo “Footloose”.

La commedia musicale:

La commedia è il genere che meglio si adatta alla variante musicale, con pochissime eccezioni quali lo splendido dramma “Quattro minuti”, notevole per le esecuzioni; proprio una lunga, bellissima e ininterrotta esecuzione, anche se non è live, permette di inserire in questa categoria “Il concerto”, tecnicamente una commedia grottesca. La commedia musicale è genere gradito tanto dal pubblico quanto dalla critica: ne è testimone il successo di film quali “I love Radio Rock”, al gradino più alto della qualità cinematografica, e “School of Rock”, a quello più basso, pur con ottime ragioni d’essere. Su quest’ultimo vale la pena spendere qualche parola in più: è atteso il remake tra qualche anno, sempre con Jack Black, che nel frattempo ha coinvolto il suo gruppo nello strampalato “Tenacious D e il plettro del destino”, un must per chi non è prevenuto nei confronti della commedia demenziale impegnata.
Annotiamo infine tre autori ‘recidivi’: Robert Altman, che nel 2006 realizza “Radio America” con Maryl Streep (proprio quest’esperienza la spinge ad accettare il musical “Mamma mia!”) quattro anni dopo “The Company”; il vivace esordio alla regia di Madonna (ottima protagonista di “Evita” dieci anni prima e del documentario “A letto con Madonna” nel ’91) con “Sacro e Profano”, con musiche ed esibizioni live dei Gogol Bordello; il gitano Tony Gatlif infine, che nel 2002 realizza “Swing” e due anni dopo “Exils”, che non è musicale ma sommerso dalla musica di una colonna sonora a dir poco invadente. Rispetto al musical classico, in quest’area troviamo finalmente prodotti non americani, che tuttavia sono giunti nelle sale italiane principalmente grazie alla visibilità che i festival hanno dato loro, il Festival di Roma per “Il concerto”, quello di Pesaro per “Quattro minuti”, Cannes infine per i film di “Tony Gatlif”.

I documentari musicali, le biografie e le opere integrali:

Gli eredi di “Buena Vista Social Club” si contano sulla punta delle dita, a parte lo stesso Wenders che con Eastwood e Scorsese partecipa al progetto “The Blues”, una serie di 7 documentari sul blues. Scorsese è l’unico degli Autori con la A maiuscola che troviamo in questa sezione: il suo impegno inizia nel ’77 con “New York, New York” e arriva fino ai giorni nostri con i documentari “No Direction Home” su Bob Dylan (che ritroveremo nella biografia atipica “Io non sono qui”) e “Shine a Light” sui Rolling Stone. Il passo dal documentario alla documentazione di un evento è breve, e ci porta a due opere in 3D, sugli “U2” e sui “Jonas Brothers”, e alla “Bohème” che è stata nei cinema un solo giorno nel 2008. A proposito di opera, vale la pena fare un excursus sulla trasposizione di altre tre opere: “U-Carmen”, film sudafricano che sposta l’opera di Bizet da Siviglia a una baraccopoli di Città del Capo, capace di vincere la Berlinale 2005; “Il flauto magico” di Kenneth Branagh, che dopo il mediocre musical “Pene d’amor perdute” è bravo a trovare la strada giusta con molto digitale e altrettanta distanza, in leggerezza e ironia, dal film di Bergman; l’ultimo è il recente “Io, Don Giovanni” di Carlos Saura, produzione in parte italiana con Lorenzo Balducci nei panni di Lorenzo Da Ponte, librettista dell’opera di Mozart.
Tornando ai documentari musicali classici, bisogna citare “Joe Strummer”, “Eldorado” di Assayas sul coreografo e ballerino Karlheinz Stockhausen, “Neil Young”, “Heima” sui Sigur Rós e “This is it”, uscito pochi mesi dopo la morte di Michael Jackson per rendere ai fan, almeno in parte, il tour che non fece in tempo a partire.
Alcuni documentari, in questi anni, invece di raccontare i musicisti hanno usato la musica per raccontare le città e le loro culture: proprio in questa categoria rientra la “Passione” di Turturro, che prova a raccontare Napoli attraverso la canzone napoletana, non riuscendo però a dare amalgama all’opera; non molto meglio aveva fatto Fatih Akin con “Crossing the Bridge”, un viaggio attraverso le differenti correnti musicali di Istanbul. L’unico titolo riuscito è “I gatti persiani”, che è una commedia drammatica che di riflesso documenta sulla musica iraniana, e ha il solo difetto di non sottotitolare le canzoni. Documentario classico è infine “Musica Cubana” del 2004, il cui titolo dice già tutto.
Le biografie di musicisti altro non sono che semplici film biografici, che non dovrebbero entrare in questo campo: ma dal punto di vista recitativo sono assimilabili, e ritroviamo ad esempio un attore come Jamie Foxx, che abbiamo citato nel musical “Dreamgirls”, protagonista di ben due biografie, quella su Ray Charles (“Ray”, uno dei film biografici più famosi) e “Il solista” in cui interpreta Nathaniel Ayers, un violoncellista vagabondo e schizofrenico. Particolarità di questo sottogenere è il successo che ha arriso tutti i titoli, da “Walk the Line” su Johnny Cash al recente “Notorious”, passando da “La vie en rose” (Edith Piaf), il già citato “Io non sono qui” (Bob Dylan) e “Cadillac Records”, documentario sulla casa discografica Chess Records.

In Italia pochi coraggiosi:

Quel che spinge a far musical in Italia non è certo il mercato, se non nel caso di “QPGA” che usa le canzoni di Claudio Baglioni come pretesto, trama e colonna sonora del film: se l’operazione ricorda “Across the Universe”, il risultato è diametralmente opposto.
L’unico vero musical del decennio è “Tutta colpa di Giuda”, definito dal regista Davide Ferrario ‘una commedia con musica’, rarissimo caso – tra l’altro – di film ben sceneggiato. L’uscita a Pasqua e una campagna pubblicitaria mal pianificata hanno decretato l’insuccesso di uno dei migliori film del 2009.
Documentari e biografie riempiono le altre poche caselle libere: si comincia solo nel 2005 con il pugliese “Craj – Domani” e “Musikanten”, più che discutibile film del cantautore Franco Battiato nientemeno che su Ludwig Van Beethoven; nel 2006 è la volta de “L’orchestra di Piazza Vittorio”, piccola docu-fiction che, grazie anche alla promozione della Regione Lazio, ha fatto parlare di sé in tutta Italia per molti mesi; due anni dopo è passato inosservato al Festival di RomaParlami di me”, opera prima del figlio di Christian De Sica sul nonno Vittorio, interpretata dal padre stesso; qualche attenzione in più al Festival di Venezia di quest’anno su “Niente Paura”, documentario sull’Italia degli ultimi 30 anni accompagnato dalle canzoni di Ligabue.
In chiusura, anche l’Italia ha la sua commedia musicale: è “Basilicata coast to coast”, prima divertente regia del lucano Rocco Papaleo su una band sgangherata che attraversa la regione da mare a mare con gli strumenti in spalla, con la partecipazione del musicista Max Gazzè.
Otto film in dieci anni, tra questi un’operazione commerciale e due soli successi. C’è bisogno di un’industria e di rieducare il pubblico ai prodotti autoctoni, altrimenti continueremo ad importare dagli Stati Uniti prodotti mediocri per dare maggior linfa al loro mercato.
Il musical dopo il Duemila
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