Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Millennium... bah Un flop annunciato

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a cura di Glauco Almonte
E’ difficile parlare di insuccesso per un film svedese che incassa milioni in tutta Europa, ma qualcosa nella saga “Millennium” ha smesso di funzionare. “Uomini che odiano le donne” è uscito esattamente 15 mesi fa in Scandinavia – e a ruota in tutta Europa – sulla scia del successo della trilogia di Stieg Larsson: un successo atipico, diversi anni dopo la pubblicazione dei tre romanzi avvenuta dopo la sua morte, a fine 2004. “Uomini che odiano le donne” piace, in Europa, perché ha la forma familiare del poliziesco d’azione (genere tipico delle serie televisive) ma la sostanza nuova di una confessione, quella di un Paese poco conosciuto che rivela i propri difetti e ciò che, tra le pieghe di questi difetti, si può annidare. Il ‘male’ in questo primo film è quello che tutti conosciamo e di cui tutti abbiamo paura, ed è una scoperta che lascia sgomenti al termine di un’immersione nella sconosciuta società svedese. Nazismo e misoginia, buttati in faccia allo spettatore senza tentare alcuna giustificazione.
Il resto della trilogia, anche se l’ultimo capitolo parla del marcio che c’è all’interno dei servizi segreti, è un’altra cosa: Niels Arden Oplev non ne vuole sapere di girare gli altri due capitoli, ha realizzato un film, detto quel che poteva, e non crede nel progetto (tant’è che fino all’ultimo non aveva letto i libri di Larsson, etichettandoli come ‘classico thriller alla svedese’). Il nuovo regista, Daniel Alfredson, gira i due sequel contemporaneamente, e la sensazione dello spettatore è proprio quella che si tratti di due puntate della stessa storia (ed è così, infatti). Cambia l’approccio narrativo, permettendo allo spettatore di conoscere quel che Mikael e Lisbeth ignorano, e cambia anche stile di ripresa con una steadycam in luogo della macchina da presa sul cavalletto. Non bastasse questo a rendere il tutto più televisivo, c’è da fare una considerazione importante sui protagonisti, ben interpretati da Michael Nyqvist e Noomi Rapace: in “Uomini che odiano le donne” lo spettatore li scopre un po’ alla volta, li comprende man mano che la storia procede e, alla fine, ha chiara la loro essenza, il loro carattere, le loro motivazioni. Tutto ciò non può avvenire una seconda volta, così fin da subito sappiamo chi sono Mikael e Lisbeth, li identifichiamo come i buoni e riconosciamo al primo impatto i cattivi. Il meccanismo del primo film non si ripete, come non si sarebbe ripetuto nei sette libri che Larsson non ha fatto in tempo a scrivere (il quarto e soprattutto il quinto pare fossero a buon punto) per completare il suo decalogico progetto; Larsson ha messo a frutto la sua esperienza di giornalista in molti saggi e in questo enorme progetto, a cui ha aggiunto ottime idee che però si è giocato subito.
Dal punto di vista prettamente cinematografico, “Millennium” aveva le carte in regola per sfondare: nato da tre bestseller, ha stimolato gli americani a farne un remake prima ancora che venissero realizzati il secondo e il terzo episodio, e non ha avuto concorrenza mediatica, differenziandosi anzi per qualità dalla Twilight Saga che è uscita nello stesso periodo. Quel che è mancato è un motivo per vedere i due capitoli successivi, facendo registrare un costante calo di interesse e di pubblico: “La ragazza che giocava con il fuoco” è stato visto da meno della metà delle persone che avevano visto il film d’esordio, e il lancio de “La regina dei castelli di carta” non è dei più promettenti, distribuito in Italia in 185 sale (meno di quante ne abbiano “Iron man 2” alla quarta settimana o “Piacere, sono un po’ incinta” alla seconda). Il risultato al botteghino italiano faranno testo relativamente, il pubblico scandinavo, quello spagnolo, quello olandese e soprattutto quello canadese hanno emesso la loro sentenza: la trilogia “Millennium” si chiude come una qualsiasi serie televisiva, dai ritmi se possibile ancor più lenti, della quale se si perde una puntata non importa gran ché. Avanti il prossimo...