Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Barbarossa Barba rossa e camicia verde

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a cura di Glauco Almonte
Con una tempistica a dir poco curiosa esce in sala, nella stessa settimana in cui inizia il Festival Internazionale del Film di Roma (ladrona), un film più unico che raro: “Barbarossa” di Renzo Martinelli.
A posteriori è difficile ridurre l’operazione-Barbarossa ad una semplice opera cinematografica che ha avuto l’imprimatur di una forza politica: il film in questione si inscrive in un processo di auto-legittimazione di un partito che si definisce popolare quale la Lega Nord, da sempre tesa a scandagliare la mitologia celtica ed ora alla ricerca di qualcosa di più vicino, se non nel tempo almeno nello spazio. Il Ministero della Propaganda ricerca nella più popolare delle arti il veicolo per risollevare gli animi quando la realtà non è in grado di sostenerli; purtroppo per il tanto celebrato cinema italiano, che ultimamente sembra essere uscito da una crisi ventennale, Renzo Martinelli non è Leni Riefenstahl e “Barbarossa” trova il suo progenitore più simile ne “La caduta di Berlino” di Mikheil Chiaureli, che addirittura lo supera nella recitazione. Ma le mancanze tecniche ed artistiche di un prodotto cinematografico non sono una novità, nemmeno in Italia, e come tali meritano di rimanere parte di un discorso puramente critico (maggiori dettagli, dunque, nella recensione).
Il problema di questo film è nel suo sottotesto, nell’uso per il quale da molti è stato pensato, nelle implicazioni di un intervento statale in un’opera non politicizzata (di quelle ce ne sono molte) ma politica. In epoca di revisionismo storico e di “primi super pares”, Martinelli porta sullo schermo un condottiero inventato (dubbia l’esistenza di Alberto Da Giussano, fantastica la sua biografia, improprio il termine bio-pic che andrebbe sostituito da bio-fic) che parla ma non ascolta; dall’altra parte troviamo un imperatore più vecchio, che sogna di dominare il mondo e che sposa una dodicenne (undici, secondo la storia ufficiale). Questo miscuglio di eventi storici (uno solo, la sconfitta del Barbarossa ad opera dei comuni lombardi eccezionalmente coesi, da lì a breve pronti a tornare alle liti precedenti e alle sconfitte) e mitologici, letterari o semplicemente cinematografici, fa di un film epico come da tempo non si vedeva in Italia una sorta di “Voyager” sul grande schermo, appropriandosi in sostanza del motto “il fantastico nella storia, la verità nella leggenda”. La differenza maggiore è nella comicità insita nella trasmissione, della quale gli autori sono sicuramente consci, e quella del film, una comicità dettata da intenzioni mal applicate, da un’enfasi ridicola e da effetti speciali di cattivo gusto, per non parlare di una sceneggiatura che nelle parti migliori saccheggia i baluardi del genere epico-eroico e nelle peggiori si lascia andare a considerazioni che danno il senso della misura, in una rappresentazione Nord-Sud tipica dei primi film Cowboy-Indiani o peggio dei film di guerra degli albori Americani-Giapponesi.
Tiepidamente applaudito all’anteprima per soli politici al Castello Sforzesco, “Barbarossa” – a meno che non abbia un gran successo in sala, previsione difficile visti sia la durata che il prossimo passaggio televisivo – rappresenta un’illusione mancata da parte di una Lega che sperava di trovarsi tra le mani uno strumento valido, speranze deluse da una realizzazione mediocre, giudizio alla portata di qualsiasi spettatore, anche poco avveduto; che abbia o meno successo, rimarrà a prescindere un prodotto costato 30 milioni, 1,6 dei quali stanziati dal MiBAC (ma i soldi pubblici non si limitano a questa cifra, essendo prodotto dalla RAI), il cui “interesse culturale” si individua con qualche difficoltà. A questa considerazione se ne aggiunge una paradossale, se si pensa al partito che lo incensa: per tagliare i costi (sic) il film è stato girato in Romania, così da pagare di meno le comparse (non solo loro, ma ogni fase della lavorazione) con ritmi di lavoro che i sindacati italiani non consentono. E gli aspetti grotteschi non finiscono qui: da tutta questa storia di orgoglio lombardo e scudi crociati, chi ne esce vincitore è un fabbro che forgia anelli a colpi di martello e uccide cavalieri a colpi di falce...
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