Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Giovani e Lavoro Il cinema apre gli occhi

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a cura di Glauco Almonte
C’era una volta Vittorio De Sica. O, per non esagerare, Renato Castellani.
Superata l’epoca dei telefoni bianchi, delle commedie all’italiana, la prima parte di quella dei cinepanettoni, il Paese che del boom economico ormai non ha nemmeno il ricordo si ritrova in un’epoca di crisi ormai di lunga durata, una crisi ignorata dai principali massmedia (oggi piuttosto che lavare i panni in casa propria si preferisce chiuderli nell’armadio e negare di averli mai indossati) ma ben presente nella vita quotidiana della maggioranza, silenziosa seppur lamentosa, delle persone. Dei giovani, principalmente. La crisi che si protrae da un decennio e oltre, una rapida e costante involuzione, li riguarda da vicino perché ha il suo culmine nella fase di passaggio dallo studio al lavoro, dalla formazione all’applicazione. Dall’adolescenza alla maturità. Questo passaggio non solo non è immediato né semplice, ma è addirittura ostacolato da aziende che fagocitano neolaureati per sputarli poco dopo, privati che richiedono esperienza pluriennale per lavori semplici, concorsi pubblici chiusi al pubblico, ed aperti a chi ha santi in Paradiso (o ai piani alti di quelche ufficio lì vicino) e pazienza se la firma è la centounesima crocetta. Dài e dài qualcosa esce prima o poi, ti dicono gli altri; e intanto provi, e passi gli anni migliori della tua vita a cambiare continuamente sogno nel cassetto, e ti chiedi chi abbia accesso a quel cassetto per creare ogni sei mesi nuove aspettative, nuove speranze. E come te molti, troppi.
L’Italia di questo inizio di millennio si specchia in questo problema come in altri, ma forse non è più disposta a farlo di nascosto; incastrata in un mondo che viaggia ad alta velocità, dove chi ha qualcosa da dire pur non accedendo al pubblico televisivo trova migliaia di ascoltatori su internet, ci siamo accorti che non sono i blog a commentare il mondo, ma sono in grado di determinarlo, almeno in parte. Il cinema italiano arriva finalmente a confrontarsi con questo problema solo negli ultimi mesi, e l’anello di congiunzione è probabilmente “Tutta la vita davanti” di Paolo Virzì, uscito la scorsa primavera. Insieme a Francesco Bruni, sceneggiatore col quale ha sempre colaborato, Virzì parte proprio dall’esperienza di un blog per raccontare dal punto di vista di una giovane precaria la difficoltà dell’inserimento nel mondo del lavoro. Lo fa con molta ironia, con toni quasi grotteschi, perché è pur sempre una commedia italiana prodotta da una delle principali case di produzione-distribuzione sulla piazza, non è realismo né tanto meno neorealismo; nel calcare la mano sulle contraddizioni del mondo che la aspetta, Virzì segue con onestà il percorso di Marta dalla brillante laurea in filosofia ad un ottimismo finale. Nel mezzo, tanta sofferenza (più intorno a lei che nella sua vita), lavori umilianti e la sensazione che siano “loro” a farle un piacere permettendole di essere sfruttata.
Il problema dell’affitto, dell’andare fuori di casa e del pensare a creare una famiglia è una diretta conseguenza di questo “stato delle cose”, oltre che dei prezzi allucinanti che hanno raggiunto gli affitti a Roma o Milano. Su questo aspetto, oltre che su un’azienda che non valorizza i propri dipendenti, ma usa i giovani solo per sostituire quelli un po’ meno giovani che, sventura dell’azienda, hanno un contratto a tempo indeterminato, punta “Generazione Mille Euro”, appena uscito nelle sale. A differenza di Virzì, che giunge al suo film dopo averne fatti molti, spesso incentrati sul disagio giovanile, Massimo Venier è sostanzialmente alla prima prova in cui ha carta bianca, e può essere sintomatico che abbia scelto di confrontarsi subito con questa attualità. Anche in questo caso i toni della commedia prevalgono (altra produzione e distribuzione di primo piano), il finale smorza in parte il problema dando maggior peso al conflitto sentimentale del protagonista, ma il mondo rappresentato è quello e non si può cambiare: precarietà, insicurezza, elevato rischio di essere plagiati (Matteo sceglie una strada contro la propria natura perché vede, alla fine del percorso, un posto sicuro e mille euro in più).
Se si stanno muovendo le grandi produzioni, le grandi distribuzioni (e non sono da meno gli indipendenti, un esempio “Fuga dal Call Center”), è ormai evidente che il problema giovani-lavoro non è più chiuso nell’armadio; rimane lì, enorme, ma tirarlo fuori è il primo passo per affrontarlo e, se viviamo in una commedia, sconfiggerlo.
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