Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Roberto Faenza Psicologia delle ossessioni

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a cura di Vaniel Maestosi
Nato a Torino nel 1943, il Professore del cinema italiano Roberto Faenza esordisce dietro la macchina da presa nel 1968, a soli 25 anni, con “Escalation”, per proseguire l'anno dopo con “H2S”. Ma bisogna aspettare dieci anni prima che i tratti del cinema di Faenza, comincino a delinearsi verso una forma chiara. Nel 1978 gira “Forza Italia”, nessuna profezia politica, ma pur sempre politica. Scrive il film insieme a Carlo Rossella e Marco Tullio Giordana, un collage di diversi frammenti di documentari, filmati dal dopoguerra in poi che attraversano la storia italiana da Alcide De Gasperi a Papa Paolo VI. Nasce con questo film lo stile Faenza, sempre stretto tra sospetto e indagine, psico e analisi che si consoliderà in tutti i suoi film successivi. Indimenticabili in questo senso le intime confessioni di “Sostiene Pereira”, film del 1996 con Daniel Auteil e il grande Marcello Mastroianni che il regista scrive ispirandosi all'omonimo romanzo di Antonio Tabucchi.
Faenza rappresenta l'ossessiva ricerca dell'intelletto, del pensiero razionale che impregna ogni suo ruolo, quasi sempre creato, celebre maestria delle sue sceneggiature, per ingrandire la sommersa parte interiore dell'anima che assomiglia tanto alla psiche.
Prendimi l'Anima”, controversa e cruda storia di Jung e Sabina, prima paziente poi amante del filosofo psicologo, è l'essenza del cinema di Faenza, non per piacevole rima ma bensì per espressione autoriale che afferma un genere, quello psicoanalitico, completamente suo.
Sedurre lo spettatore attraverso una paura non fisica e attrarlo verso magneti umani talmente potenti che diventa impossibile non cascare nella completa immedesimazione. Perfetto il “Caso dell'infedele Klara”, Luca è pervaso dalla Otelliana gelosia che invade spesso anche ognuno di noi, lui sente vicino e vive l'eco di quel “mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre”; chi osserva diventa Luca geloso di Klara, durante il film si dimentica ogni esperienza personale, preferendo di gran lunga il dubbio, ci si lascia assorbire dalla storia, piena d'intrighi ed adulteri, veri o presunti non importa, diventandone quasi una parte.
Indagare sempre, senza lasciare sosta o respiro, viene in mente la clustrofobica vita di Margherita Buy alias Olga durante “I giorni dell'abbandono”, incapace di reagire, di mangiare, di uscire da un ruolo che ormai aveva invaso tutto, tolto dignità e soprattutto ogni tipo di originalità alla quotidianità umana, vera essenza (qui non di Faenza) vitale per ognuno di noi.
Nel 1993 il regista piemontese scrive e dirige “Jona che visse nella Balena”, tratto dal romanzo autobiografico dello scrittore Jona Oberski intitolato “Anni d'infanzia”. Il film vince tre David di Donatello, Costumi e Musica, fanno da contorno alla Miglior Regia. Il film, profondamente toccante, è un gioiello di tessuto espressivo e narrazione. Non ci si può certo immedesimare negli occhi e nella tremenda storia di Jona, deportato bambino ebreo nei lager nazisti, ma ci si può commuovere comprendendo e imparando proprio da quello che succede a Jona nel finale, quando davanti all'ormai indelebile ricordo trova la forza di tornare a vivere.
Fuori da ogni schema “Alla luce del sole” (2005), puro omaggio del regista alla figura di Don Pino Puglisi, Santo senza bisogno di certificazioni ecclesiali di beatitudine. Il parroco, splendidamente interpretato da Luca Zingaretti, fu assassinato dalla mafia a Palermo nel 1993 nel quartiere Brancaccio, proprio il giorno del suo 56°compleanno, perchè “rompeva le scatole togliendo i bambini dalla strada”. Questa storia non poteva certo sparire agli occhi di Faenza, anzi è forse l'unico esempio, della sua intera cinematografia, di pura concessione nei confronti di un lucido sentimento. Per la prima volta anche il sofisticato regista psicologo cede al comune uomo torinese.
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