Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Spike Lee Una morale profonda

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a cura di Vaniel Maestosi
Molte volte si entra nella leggenda per imprese meritorie o meno, a volte basta la porta di servizio che spesso orribilmente viene paragonata a quella del talento, della perduta voglia di affermare il pensiero prima ancora di un genere o di uno stile. Spike Lee affronta lo stile come fosse concetto, lui incarna fisicamente la leggenda, è l'erede moderno di quel suo caro Malcolm nella modernissima e non più illusoria metropoli collettiva. Affermare un principio di legalità, di uguaglianza, fino addirittura estremo di riscossa razziale. Allertare l'orizzonte che alcune crudeltà e soprattutto lo schiavismo mentale non possono essere dimenticate, è un dovere ricordarle sempre, un peso che deve essere espiato e sostenuto da tutti. Così sono gli esordi di Spike, appunto tesi all'espiazione di un sentimento leggendario, un'esaltazione ideale e spirituale pura, ispirata dalla sofferenza delle folle.
Malcolm X” firma l'epicentro di questo credo e nucleo creativo e suggella, poco dopo gli esordi, quel rapporto lavorativo con Denzel Washington con il quale gira anche “Mo' Better Blues”, poi “He got game”, fino ad “Inside man”. Un legame artistico e umano, profondamente rafforzato dal comune processo creativo. Poi la classe incontestabile di una regia sobria, distinta che cerca insieme la nitidezza del colore e la forma efficace, pungente, dilaniata. Il taglio di ground zero e l'urlo musicale che accompagnano la camera al buio sopra le macerie intraviste solo attraverso un vetro sono il cuore de “La 25à ora” e sono anche il canto più feroce del cinema moderno che omaggia una sofferenza umana, a quel punto sopra i contrasti, un inchino d'uguaglianza difronte all'impensabile.
Non è un'idea assurda considerare “La 25à ora” come uno dei film più belli del decennio, lo stesso decennio che ha visto Spike Lee, divertire e impressionare in “Inside man”, dentro una storia al limite del perverso, nevrotica e perfetta, tesa e veloce quanto ironica e già pronta all'attesissimo sequel, previsto nel 2010.
Come non omaggiare la distrutta New Orleans, massacrata dalla ferocia di “Katrina” uragano abbattutosi sopra la povertà, su quei disagiati che vivono ai confini in case di paglia, accanto alla ricchezza smisurata così poco distante, Spike non poteva non annegare con tutto quello che è annegato nell'agosto del 2005 nella principale città della Louisiana. Popolazione di neri abbandonata, alla ricerca di cibo, d'istinto primario, di acqua potabile. Lee piange con la sua gente e osserva con la camera scegliendo di dividere l'opera in quattro atti tra loro logicamente consequenziali. “When the Levees Broke” è un omaggio scevro di ogni faziosità, un documento storico unico e una visione completa della città devastata; con oltre quattro ore di materiale montato e teso verso l'evitabilità della tragedia, secondo la severa analisi e verità dei fatti.
Adesso “Miracolo a Sant'Anna”, girato in Italia con alcuni attori italiani (Pierfrancesco Favino, Valentina Cervi e Luigi Lo Cascio). La Toscana del 1944, dove la storia è realmente avvenuta. Spike rivisita la guerra, trascinando indietro l'occhio del tempo, ricostruisce e tesse costumi e quadri di un'epoca lontana solo agli occhi più giovani. La seconda guerra mondiale s'incastra con un racconto d'amore, alternato perchè altrimenti risulterebbe impossibile sostenere così tanto dolore e odio. Un processo che finisce e immediatamente un sospiro d'inizio, anche dietro le macerie scorgere un fondamento dove ricostruire, il principio di Spike appunto, una linearità, una morale profonda.
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