News: La musica del corpo: i disegni di Ejzenštein a Roma
La musica del corpo: i disegni di Ejzenštein a Roma | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Sabato 1 Gennaio 2005 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Il 2004 romano si chiude con una mostra dedicata ad un gigante della cinematografia d’ogni tempo: Sergej Mikhajlovič Ejzenštein. Per tutto il mese di dicembre l’Auditorium, all’interno del Festival Russo, ha riservato lo Spazio Risonanze ad una retrospettiva del regista incentrata su disegni (inediti), fotografie ed altre testimonianze che solo apparentemente hanno poco a che fare con la sua produzione cinematografica. La mostra è idealmente suddivisa in quattro parti: una cinquantina di disegni dai più disparati soggetti alle pareti, uno spazio centrale con foto e bozzetti per film, un angolo nel quale vengono proiettati documentari e, infine, una bacheca con un esilarante (oggi) volantino nel quale si richiede l’espulsione dagli Stati Uniti della “mente diabolica” e “leninista sadico”… La prima parete ospita dei disegni giovanili, principalmente figure umane stilizzate, interessanti nello studio della struttura corporea vista da diverse angolazioni; sono per lo più bozzetti per opere che non hanno avuto fortuna, appartenenti al periodo in cui si avvicinava al mondo dello spettacolo come disegnatore e regista teatrale al Proletkult. In essi è assente qualsiasi idea di sfondo e, allo stesso tempo, di prospettiva; le figure sono tutte in primo piano, ma, ciò nonostante, riesce a sfuggire alla bidimensionalità del foglio concentrandosi sul movimento dei corpi: è facile vedervi la mano di un regista teatrale, interessato allo sviluppo dell’azione corporea degli attori avulsa dalla scenografia, elemento non secondario, ma che comunque non interagisce con l’atto recitativo. Nell’altra parete troviamo invece dei disegni posteriori, suddivisi per tema: ampio spazio è dedicato alla sezione “Idee musicali”, con tavole al centro delle quali sono ancora figure umane. In queste si perde ogni realismo anatomico, mentre è massima la concentrazione sul moto: i corpi sono bloccati da un segno molto marcato nell’istante d’un ballo, d’una corsa, d’una piroetta o d’ogni altro tipo di movimento ritmico; a questa staticità di partenza si contrappongono delle linee cinetiche rosse, che spostano le immagini iniziali nel movimento successivo o anche nello stesso visto da un'altra prospettiva, dando allo spettatore l’impressione che le figure continuino a muoversi e, in alcuni casi, che sia egli stesso a muoversi attorno ad esse. Altre due temi a cui è dato spazio sono “Sansone e Dalila”, una serie di tavole del periodo dei viaggi tra Europa e Stati Uniti raffiguranti “fotogrammi” successivi del taglio dei capelli, e il “Suicidio di Nerone”, la rappresentazione in diversi modi della morte dell’imperatore. Questi ultimi disegni sono, difficile stupirsene, del periodo dei film-biografia Aleksandr Nevskij e i due Ivan il Terribile; sia in questi che in “Sansone e Dalila” salta agli occhi il passaggio dall’immagine teatrale a quella cinematografica: i personaggi si muovono sia su se stessi che nella profondità del foglio, con figure in secondo piano nella serie neroniana. Ma ciò che più rende la struttura filmica è l’idea di sequenza di immagini nell’uno, di possibilità, e scelta tra di esse, nell’altra. Un’ultima carrellata di disegni si trova al centro della stanza: si tratta di bozzetti preparatori per alcune scene dell’Aleksandr Nevskij, con a fianco le foto della realizzazione di esse. Sono principalmente scene di massa, nelle quali si unisce lo studio del moto umano all’alternarsi dei piani visivi e, finalmente, all’interazione dei corpi col paesaggio circostante; esemplare è un’immagine di guerra in cui un cadavere viene trascinato in punta di lancia: il corpo umano ha palesemente i tratti stilizzati degli umanoidi-manichini dei disegni giovanili, e gli arti inermi assumono esattamente le stesse pose, risultato degli studi motori. In una vetrina accanto troviamo tavole del periodo messicano; non si tratta di bozzetti preparatori per Lampi sul Messico, ma di disegni che comunque hanno ispirato alcune scene del film. Per la prima volta Ejzenštein utilizza colori diversi, probabilmente colpito da un paesaggio e da uno stile di vita così differenti da quelli ai quali era abituato; l’indagine non è sul corpo umano nella sua meccanica ma sulle possibili espressioni e su ciò che fisicamente è in grado di comunicare: i volti hanno dei tratti volutamente grotteschi e al contempo emanano un senso d’allegria e di complicità sicuramente non casuali. Il percorso dal disegno alla realizzazione cinematografica si completa idealmente dopo la parete del “Suicidio di Nerone”: nell’angolo, davanti a poche sedie ma alla quasi totalità dei visitatori della mostra, vengono proiettate le sequenze più famose della produzione ejzensteiniana commentate dal regista stesso ed altri documentari sulla realizzazione dei suoi film. L’ultima parte della mostra lascia spazio alla vita dell’artista sovietico: troviamo fotografie nelle quali lo vediamo in compagnia dell’amico Chaplin, di Walt Disney e del “figlio” Topolino, di Marlene Dietrich e Josef von Sternberg con Hollywood sullo sfondo, testimonianze di Šklovskij, il più famoso teorico del formalismo russo, e Prokof’ev, autore delle musiche dei suoi ultimi film. Ma ciò che indubbiamente colpisce di più lo spettatore, e conclude il tutto con un tocco d’ironia, è un volantino dell’Istituto Tecnico della California, dal titolo “Escrasez l’infame”, nel quale si chiede l’allontanamento dal suolo americano del regista russo, definito “nemico di ogni uomo, donna o bambino conservatore sulla Terra”. Una nota ancor più spiacevole, in questa vicenda, è data dall’accondiscendenza della Paramount, che aveva appena visto sfumare l’accordo con Ejzenštein per la produzione d’un film negli Stati Uniti. Colpisce come in quest’esposizione, che, a parziale scusante, non ha alcuna pretesa di completezza, non abbia trovato spazio alcun riferimento al “Montaggio delle attrazioni”, la più famosa teoria ejzensteiniana, alla base di tutti i significati metaforici presenti nei suoi film; a meno che non si voglia leggere in quest’ottica l’accostamento tra le testimonianze del connubio-divorzio tra Ejzenštein e Hollywood, il sorriso di Mickey Mouse accanto alla richiesta d’espulsione. La mostra del Parco della Musica non “è come un grido”, ma è comunque rappresentativa del lavoro di ricerca alla spalle delle opere di un rivoluzionario della cui grandezza nessuna mostra riuscirebbe a dare la dimensione. |
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||