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Dopo Dogville, dove attraverso le storie di Grace e suo padre, si analizzavano i temi dell’ipocrisia, del perdono, dell’arroganza e della violenza, ora con Manderlay il regista esplora il razzismo nell’America del sud degli anni ’30. Entrambe le pellicole sono attraversate da un unico filo conduttore: l’evoluzione della personalità tormentata e tormentante della protagonista Grace. |
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Come Dogville, anche Manderlay è un film molto legato al teatro. |
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Sicuramente Manderlay è radicato nel sistema di rappresentazione teatrale, ma è anche cinema. Con le strisce bianche tracciate sul suolo, il film si rivela permettendo allo spettatore di porsi dove preferisce. L'idea è quella di rappresentare la realtà in maniera umile. |
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Lei ha dichiarato di amare il teatro soprattutto al cinema. Non teme che questo film così poco cinematografico possa non piacere a chi ama il cinema? |
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Mi auguro di deludere qualcuno tra i miei spettatori perché credo che la delusione sia molto importante, se la si prova vuol dire che si avevano delle aspettative. Penso che in questo momento i film si somiglino tutti moltissimo e che sia molto importante chiedersi in cosa consista realmente un film di qualità. |
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Come mai un film sull'America, un paese in cui lei non è nemmeno mai stato? |
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Questo film è molto simile agli altri che ho girato. Sono film pessimistici e sarcastici. L'America è un ottimo soggetto perché molto delle nostre vite ha a che fare con essa. Non si può negare il suo ruolo di dominio sul resto del mondo. Per questo sto facendo questi film sull'America, perché riempie il 60% del mio cervello. Le parole che ho immagazzinato, le esperienze della mia vita, almeno il 60% di esse - e non ne sono certo felice - è americano. Quindi di fatto io sono americano, ma non posso andare là a votare, non posso cambiare le cose perché vengo da un piccolo paese come la Danimarca. Quindi faccio film sull'America, e non ci vedo niente di strano. |
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Lars Von Trier e l'America di Bush |
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L'America è un buon argomento perché una gran parte della Danimarca ha a che fare con gli Stati Uniti, tutti i negozi, ma non solo quelli. Non lo dico perché non mi piace McDonalds, quella è un'altra storia. Noi occidentali siamo tutti sotto l'influenza degli Stati Uniti, una cattiva influenza anche perché mr Bush è uno stronzo e fa cose completamente idiote. Il 60% del mio cervello è americano, il 60% della mia vita è americana, insomma sono un americano ma non posso votare, non posso cambiare nulla. L'unica cosa che posso fare è fare film! |
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Nella tecnica di regia si nota un approccio estremamente originale e indipendente. Ha dichiarato però che gli effetti speciali non la stimolano molto. Cosa pensa del cinema digitale? |
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Innanzitutto non è un dogma quello di non poter utilizzare computer nei film. Io ho utilizzato tantissimo il computer e credo che la strada futura sia quella della tecnologia digitale. Dico semplicemente che gli effetti che i computer generano sono così facili da realizzare che spesso finiscono per perdere di significato. I computer ti forniscono di possibilità illimitate e al momento sono utilizzati in maniera abbastanza intelligente, tuttavia io mi sono annoiato nel vedere Il signore degli anelli... |
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La sua fama è quella di essere un regista sadico verso i suoi personaggi, soprattutto verso quelli femminili. Perché sempre questo degrado, questa violenza? |
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Faccio i film che da ragazzino odiavo vedere, quelli in cui ti viene voglia di urlare al protagonista: “Basta, ribellati!”. Non so bene il motivo ma credo abbia a che fare con l’intuizione che guida sempre la mia mano mentre dirigo. |
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Dopo Dogville e Manderlay, cosa può dirci sul terzo capitolo della sua personale trilogia: Washington? |
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Ho capito di non essere ancora maturo abbastanza per fare il terzo episodio subito, perciò farò una piccola pausa. Ammiro molto i registi che fanno e rifanno correggendosi, forse non appartengo a quel tipo ma cerco di esserlo. |
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Lei è il regista danese più famoso e discusso dopo il grande Carl Theodor Dreyer… |
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Conosco a memoria tutti i suoi film. Lo stimo anche perché è sempre andato controcorrente, non è mai sceso a compromessi. Provo un gran rispetto nei confronti dei ribelli, e senza alcun dubbio lui lo era. O se si vuole: un martire. Perché è stato perseguitato dall’incomprensione e dalla maledizione. |
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E’ mai stato in Italia? Come girerebbe un film sull’Italia? |
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Non sono mai stato in Italia se non per dieci minuti in macchina perché avevo sbagliato ad attraversare il confine. Potrei girare un film su Roma, ho visto Fellini... |
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