“Machan” prende spunto da una notizia vera e divertente comparsa sui giornali di quattro anni fa. Nel trafiletto si raccontava la vicenda di ventitre cingalesi, che, spacciandosi per la nazionale di palla a mano dello Sri Lanka, erano riusciti a farsi invitare in Germania, scappando poi dopo aver giocato le prime tre partite del torneo.
L’esordiente Uberto Pasolini, nipote di Luchino Visconti e già produttore di film di successo e graziosi come “Full Monty” o “I vestiti nuovi dell’Imperatore”, decide di costruire un film su quello spunto, cercando di trasformare la vicenda in una fiaba imperniata sulla speranza e sul sogno di un gruppo di disperati squattrinati.
L’idea è buona e la riuscita appare tutto sommato onesta e sincera. Ci sono però alcuni elementi che non convincono appieno, come per esempio il ritmo eccessivamente blando dei primi 2/3 di film e una sceneggiatura forse una punta pasticciata, non sempre in grado di gestire al meglio i piani dell’ironia, della riflessione e della malinconia. Il film, che – è bene dirlo – non è di grandi pretese né di grandi budget, risulta sostanzialmente scialbo e ‘manca’ stranamente il finale, la parte plausibilmente più creativa in una storia di questo tipo. Andava oltretutto sfruttato meglio il tema dell’identità, presente in patria e assente altrove, e della costrizione sociale che spinge una persona a lasciare ingenuamente il proprio contesto di vita per qualcosa di ignoto.
C’è però sicuramente da apprezzarne l’approccio privo di buonismo e retorica e la sua struttura sostanzialmente essenziale, ma – essendo oltretutto un prodotto dichiaratamente per occidentali – viene meno nel momento chiave dello slancio e dell’affondo sociale e culturale, cosa di non poco conto. Peccato.
“Machan” è stato presentato nella sezione Giornate degli autori al Festival di Venezia 2008. |