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Mario è un giovane appassionato di bird-wartching che ha deciso di partire per un viaggio nella foresta amazzonica. Durante il soggiorno, Mario incontra Desideria, una donna misteriosa che gli rivela di essere stata rapita dagli Indios all'età di otto anni. Da allora ha perso ogni contatto con la sua famiglia di origine, che si trovava in Amazzonia presi dalla febbre dell'oro. Desideria è ormai inserita nella tribù india ma, essendo appena morto uno dei suoi figli, deve trovare i suoi familiari per portare a termine la cerimonia funebre secondo la tradizione. Con l'aiuto di Mario e degli abitanti di una missione, Desideria riuscirà a rintracciare i fratelli Roberto e Ricardo che acconsentiranno alla sua richiesta. Ma il loro interesse sembra essere ben lontano dal semplice ricongiungimento con la sorella. |
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Negli ultimi vent’anni sono più di 500 i morti suicidi tra i Guarani-Kaiowá; la più piccola aveva 9 anni.
La paura di Anguè, il demone della foresta che ti fa perdere il senno e ti spinge al suicidio, è solo una conseguenza della condizione nella quale si trovano a vivere da più di un secolo: costretti in riserve di pochi ettari, privati delle terre che hanno abitato per secoli, i Guarani sono gli indiani del Sud America, con i ricchi fazenderos nel ruolo dei pionieri che usurpano, ignorano, disboscano, se serve ammazzano.
Marco Bechis, cineasta cileno del quale non si può non ricordare “Garage Olimpo”, racconta la ribellione di una comunità che, pacificamente, cerca di insediarsi di nuovo in un’area che abitava fino a qualche decennio prima: il suo sguardo suggerisce la normalità di un’azione che è simbolica più di quanto sia importante, per soffermarsi a lungo sulla vita in parallelo delle due parti contrapposte, impegnate a passare il tempo studiando il “nemico” e, inevitabilmente, sentendosi attratte l’una dall’altra. Il tutto in un limbo legale nel quale nessuno può usare la forza con la certezza della propria ragione.
Coma già “Hijos”, Bechis mette in scena un dramma di dimensioni enormi senza il pathos, per fare un esempio, de “L’ultimo dei Mohicani”; la sua è una regia asciutta, che si mostra soltanto nelle pochissime scene “spiritiche” nella foresta, lasciando che per il resto del tempo a parlare siano gli attori con le loro azioni. Proprio su questo tema è importante sottolineare la divisione tra “visi pallidi” e “pellerossa”, tanto per rimanere alla metafora che il titolo stesso chiama in causa, rimarcata dall’utilizzo di attori affermati per i primi, indigeni alla prima esperienza cinematografica per i secondi. Il bello è che i vari Claudio Santamaria, Chiara Caselli e Leonardo Medeiros sono i comprimari, mentre i primiattori hanno nomi e volti sconosciuti: è un merito di Bechis essere riuscito a dirigerli senza far sentire troppo il divario tra una professionalità raggiunta ed una improvvisata.
Alla fine, però, si rimane freddi di fronte ad un’operazione della quale si riconosce l’importanza, ma non le qualità prettamente cinematografiche di coinvolgimento dello spettatore, di passioni suscitate, di animi smossi. In sala, ci si sente filmwatchers. |