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Da sempre nell'ombra delle proprie sorelle, la diciottenne Sophie, dopo aver incontrato un affascinante stregone, cade vittima di un incantesimo che trasforma il suo corpo in quello di una vecchia. Costretta ad abbandonare il negozio dove lavora, troverà rifugio in un castello semovente. Il proprietario, neanche a dirlo, è Howl, lo stregone incontrato il giorno prima... |
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Con Il castello errante do Howl Miyazaki ci offre due ore di forti contrapposizioni fino a giungere, senza patemi, alla loro soluzione. Ad iniziare dall’immobile-mobile del titolo, ci troviamo di fronte ad una costante dicotomia in via d’evoluzione: Sophhie, che nel vecchio corpo che le è imposto riesce ad esprimere l’energia e la vitalità dei suoi diciott’anni, dà libero sfogo ai sentimenti che il suo iniziale ‘cenerentolismo’ la induceva a reprimere. Sentimenti per Howl, stregone restio a combattere la guerra in corso, ma in prima fila per fermarla.
Sulla loro strada oltre a questa guerra, l’unica cosa in grado di incutere realmente timore, si dispiegano un congruo numero di personaggi ugualmente ‘afflitti’ dalla doppiezza del loro ruolo: la Strega delle Lande è il motore malvagio delle vicende di Sophie, dando la caccia a Howl per amore e maledicendo la ragazza; privata dei propri poteri, rimane una vecchia carcassa priva di personalità, che completa il proprio contrappasso con la finale rinuncia all’amore per il giovane stregone. Della strega rimane, più del suo ruolo di nemica-amica, la meravigliosa scena della salita alla reggia, un gioiello di comicità incastonato in un film che in questa sola occasione si lascia andare al divertissement fine a se stesso.
Se la terribile strega si rivela innocua, non è da meno il demone del fuoco Calcifer, metaforicamente la divinità a tutela del focolare, e con esso della casa: costretto a muovere il castello errante con la sua incredibile forza, ma più volte aggrappato (letteralmente) all’ultimo pezzetto di legno per non morire spegnendosi, è lui la vera spalla di Sophie, dando vita a botta e risposta continui, sempre sul filo dell’ironia.
L’unica cosa a non avere il proprio alter-ego in se stessa è la guerra, cui riesce a contrapporsi unicamente la pace della natura incontaminata, paradiso ideale ambito dai due protagonisti, ma anche dallo stesso Miyazaki: ogni sua opera rivela l’amore incondizionato per i luoghi dove l’uomo, portatore di guerra, non riesce a far danni. Una natura che però è più forte di quella umana, come ribadisce in un finale visionario, pirotecnico (nel vero senso della parola), nel quale ogni cosa – tranne i capelli di Sophie – si sistema. |
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Commenti del pubblico |
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