|
|
Parigi. Una mansarda piuttosto malfamata, impregnata dal fumo. Julien, un ultratrentenne dall’aspetto trasandato, digita finalmente le ultime parole della sceneggiatura del suo prossimo film. E’ talmente concentrato nel suo spasmodico lavoro, che non si è nemmeno accorto che la sua compagna Helen, con l'aiuto di due facchini, gli sta svuotando l’appartamento, ponendo fine di fatto alla loro relazione. Nell’ufficio di Jean Paul, giovane produttore francese, Julien apprende che ben presto dovrà recarsi in Italia. Sarà infatti lì, che verrà girata la maggior parte del suo film. Jean Paul inoltre, gli indica un valido contatto in Alfredo Marrani, produttore romano, nonché nipote di un influente politico italiano. |
|
|
|
Cercare soldi in Italia in questo momento per fare cultura lo trovo grottesco, surreale
E’ molto interessante l’idea di fondo de “Il nostro messia”: oggi ‘Messia’ è chi promette, o ancor meno chi potrebbe promettere, un ruolo al cinema; non si parla di fama e ricchezza, ma soltanto della possibilità di entrare in un mondo idealizzato. Ma il messia in questione fama e ricchezza le sta cercando, non le porta agli altri, e il suo seguito di ragazzine smanianti e copulanti si disperde all’alba di un addio, di un fallimento, di un tramonto che sa di definitivo.
Il film di Claudio Serughetti (oltre ad essere regista e protagonista è accreditato per: soggetto, sceneggiature, musiche e, trattandosi di un film indipendente, produzione) affronta le difficoltà di fare cinema, in francia come in Italia; Julien si trova nell’impossibilità di produrre il film (del quale noi spettatori non sappiamo mai nulla) dopo averne scritto la sceneggiature, ed è emblematico che “Il nostro messia” abbia riscontrato le stesse difficoltà al gradino successivo, quello della distribuzione. Nasce così la Apocaltpse Flower, un’associazione culturale creata da Gianluca De Maria (uno dei produttori) per distribuire il film.
Apprezzabile l’impegno, sul set come fuori dal set, coinvolgendo nel progetto personaggi del calibro di Rosalinda Celentano, Dolcenera e Tinto Brass; sembra paradossale dirlo, ma è un peccato che le apparizioni di Tinto siano limitate ai soli prologo ed epilogo, in un uso originale della voce off che commenta il film in pausa, in un fermoimmagine, nello schermo alle spalle del critico, o addirittura mostrando di nuovo alcune sequenze già viste.
Tutta l’operazione merita rispetto, al di là dell’effettiva riuscita artistica: nessuno spicca per la qualità della recitazione, e la scena-clou al monumento dedicato a Pier Paolo Pasolini è veramente troppo carica. Infine, bisognerebbe togliersi una curiosità: perché Julien, appena arrivato a Roma, chiede alla tassista-Dolcenera di portarlo a via Eleonora D’Arborea 30 e quando viene portato a destinazione lo troviamo da tutt’altra parte? |