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Una sera, al tavolo di un bar, un vecchio amico racconta al regista Ari un incubo ricorrente nel quale lui è inseguito da 26 cani furiosi. Ogni notte, lo stesso numero di cani. I due uomini deducono che ci sia un collegamento con la missione dell'esercito israeliano durante la prima guerra in Libano a cui hanno partecipato nei primi anni '80. Ari è sorpreso da quanto poco ricorda di quel periodo, e decide di esplorare il mistero rintracciando e intervistando vecchi amici... |
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L’animazione impeccabile della Pixar, o la grafica tridimensionale, o ancora i disegni fatti a mano lasciano talora spazio a stili ben più diffusi tra gli amatori e sui quali è forte la prevenzione dell’appassionato. “Valzer con Bashir” dimostra ancora una volta (dopo “Persepolis”, ad esempio) che non è la ricerca scientifica a fare da sola un buon prodotto, ma l’amalgama tra la storia, il modo in cui viene raccontata e le tecniche di rappresentazione. Il film di Ari Folman, sembra fatto in Flash, e la tecnica usata non è che poi si discosti tanto da quest’apparenza (Flash, animazione tradizionale e 3D confluiscono nella combinazione messa a punto da Yoni Goodman, direttore dell’animazione); nonostante qualche (raro) effetto non del tutto riuscito, il film si lascia godere in quanto tale, tanto che alla fine, quando Folman decide di ricordarci l’aderenza alla realtà della storia raccontata, non c’è un brusco risveglio ma un continuum di sensazioni, al massimo più crude ma non più concrete.
Il procedimento attraverso il quale l’ex-combattente Ari Folman decide di raccontarci la sua (onesta) versione del massacro di Sabra e Shatila è tipicamente cinematografico, inscenato per creare dapprima interesse, quindi un crescendo di suspense mentre il protagonista, lo spettatore e il regista stesso si avvicinano ad un evento che, non potendo essere vissuto come nuovo, viene rivissuto. Il discorso sulla memoria non si limita all’espediente narrativo, ma tocca delle verità proprie dell’essere umano, il processo di rimozione come autodifesa e quello di recupero come consapevolezza, come crescita e accettazione di ciò che prima faceva paura.
L’oggetto del racconto, lungi dall’essere il viaggio nei meandri della memoria del regista stesso, è un viaggio nella memoria collettiva, riportando alla luce un episodio del quale tanto si è detto, ma la verità è sempre rimasta un’opinione: la tesi di Folman è che i cristiani falangisti abbiano perpetrato il massacro dei profughi palestinesi grazie al non intervento dei livelli più alti dell’esercito israeliano, ministro della difesa Ariel Sharon in primis (e questa è Storia), ma i soldati israeliani sono completamente scagionati. Difficilmente il punto di vista di chi a Beirut nell’82 c’è stato, in qualità di soldato semplice israeliano, potrebbe essere diverso: ma l’incoscio di Folman non ha tutti i torti, e di motivi per rimuovere l’episodio (i soldati israeliani non dovevano stare in quella zona da diverse settimane, una ritorsione falangista era facilmente prevedibile e nel campo profughi li hanno fatti entrare loro) ce ne sono abbastanza.
Parliamo delle notti tra il 14 ed il 16 settembre 1982: è passato un quarto di secolo, Ariel Sharon da molti mesi è in coma ma è il premier eletto (al processo per crimini contro l’umanità è sfuggito soltanto per la morte del testimone chiave in un attentato), di guerra israelo-libanese se ne è appena conclusa un’altra, in Palestina ci sono pseudo-campi di concentramento israeliani e questo film è spaventosamente attuale. |
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Commenti del pubblico |
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News sul film “Valzer con Bashir” |
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