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Estate del 1978, l'estate più calda del secolo. Di giorno, il piccolo paesino di Acque Traverse sembra abbandonato. Da tempo le scuole sono chiuse per le vacanze e gli adulti, per evitare l'afa, preferiscono restare chiusi in casa. Solo un piccolo gruppo di ragazzini si aggira fra le case e le campagne. Durante una di queste sortite il piccolo Michele, nove anni, fa una scoperta sconvolgente: gli adulti del paese tengono un suo coetaneo segretato nel pozzo di un casale abbandonato. Il piccolo non comprende i misteri di questa strana vicenda dove, fra le altre cose, sembrano essere coinvolti anche i suoi genitori. Una storia i cui risvolti cambieranno per sempre la sua esistenza. |
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L'ultimo film di Gabriele Salvatores deve il suo fascino al fatto di trattare solo apparentemente la cronaca di un rapimento visto attraverso gli occhi di un ragazzino, nella campagna pugliese degli anni Settanta.
Ed è proprio in quel "apparentemente" la condizione determinante perché il cinema, quello vero, riesca ad affermarsi di vita propria.
"Io non ho paura" è un film su qualcosa di infinitamente più interessante di ciò che viene stabilito dalla legge, delimitato dalle consuetudini piuttosto che dalla natura umana: è un film sui confini, sulle frontiere.
Tratto dal romanzo di Niccolò Ammaniti, il primo di questi confini si situa proprio all'interno del suo soggetto.
Da un lato, il fatto di cronaca: con tanto di finale a colpi di sirene ed elicotteri. Dall'altro, la visione, altrettanto incerta quanto più fragile, preziosa ed appassionante, della dimensione interiore dei personaggi. In particolare, del giovane protagonista; quello che "non ha paura".
Il mondo dell'adolescenza e quello degli adulti. Un mondo fantastico legato alle ricorrenze eterne della natura, ai rituali dell'innocenza, ad una realtà percepita con delicata progressione. E altri incubi di una miseria ormai adulta, dettati dai condizionamenti sociali, economici, educativi.
Confini e frontiere in un'esplosione di infinite campagne dorate, in un brulichio sensuale fino a divenire calura implacabile che "sconforta" gli adulti e la consolazione del fantastico; poi l'affanno. La crudeltà della conoscenza si affrontano in quell'universo bucolico. E confini tracciano altri confini; fra lo splendore aulico della favola e le regole meschine delle vicende adulte, il colore, la luce folle della natura, ed il buio della paura.
"Voglio andar via", ripeterà il ragazzino quando si accorgerà di aver ormai oltrepassato le frontiere del sogno e delle illusioni: di aver dovuto abbandonare (definitivamente) quel il microcosmo magico.
"Io non ho paura" possiede lo splendore e quindi l'intelligenza del proprio sguardo: si alimenta di quell'incertezza, trattiene lo spettatore sui territori emozionanti e poetici delle cose che s'intuiscono solamente.
Nastro d’Argento 2003 per la regia, la fotografia e il miglior attore non protagonista.
David di Donatello 2004 per la miglior fotografia. |
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