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Silvana e Giovanni Boarin vivono in insieme alla figlia adolescente Anna e a Marja, una donna rumena a servizio nella loro lussuosa villa nel nord Italia piemontese. Parallelamente a questa vengono narrate altre due storie: quella dell’ex fidanzato di Marja, Ionut che vive insieme al fratello più piccolo in un povero appartamento che pagano con i pochi soldi guadagnati, alimentando il sogno di cambiare un giorno la propria vita e quella del giovane cocainomane Marco Rancalli, che cerca di guadagnarsi attraverso l’aggressività dovuta alle droghe e all’insoddisfazione, l’affetto e la stima del figlio di otto anni che la separazione ha affidato alla sua ex moglie. |
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Selezionato per la “Quinzaine des réalisateurs” all’ultimo Festival di Cannes, il film di Francesco Munzi toglie le ombre a quell’angolo di Italia che è ormai parte di un concetto di quotidianità diffusa: quella di un’immigrazione che lotta in cerca di sopravvivenza, in un Paese in cui sono tanto forti le differenze sociali.
“L’Occidente è riuscito a diventare materialmente ricco ma ora è sfinito. Tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno ce l’ha ma l’uomo è sfinito”, questo il preambolo annunciato da una voce fuori campo iniziale che precede l’avvio dei tre filoni narrativi di storie e solitudini che si intrecciano, che il regista va a cercare penetrando le periferie urbane e muovendosi nei lussuosi ambienti delle ville signorili: storie notturne e grigie nell’inverno di un nord Italia senza bisogno di identità.
Munzi sceglie due volti femminili noti, Sandra Ceccarelli e Valentina Cervi, ma non affida loro la scena. Sembra ricercare nelle contrapposizioni – di musica, di ambientazioni e stili di vita – una carica espressiva che può restituire alla pellicola un disagio esistenziale che per sopravvivere disonora valori umani e legami affettivi. Brava la Ceccarelli a reggere la scena nella sua freddezza e impossibilità di donna borghese in lotta con il mondo, di madre estranea dall’affetto della figlia adolescente e di moglie non trascurata. Sentimenti congelati e traditi in contrapposizione al calore delle relazioni “straniere”. Il tema dell’immigrazione torna a farsi “riprendere” e stavolta i volti, gli ambienti, gli sguardi e gli insediamenti sembrano avere qualcosa di più reale che in altre pellicole. A rifletterle c’è una regia delicata, non troppo vistosa che coglie momenti e nostalgie senza prendere posizioni e si fa cullare da un dosaggio musicale leggero e malinconico, che si muove nel buio e ciò che non è notte, viene sporcato comunque di ombre. |
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Commenti del pubblico |
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