Dai tempi di "Ladro di bambini", da quando Gianni Amelio si mise a fare dei film “piccoli”, il suo cinema più ispirato si è costruito su un viaggio; che da fisico e materiale si fa morale e quasi astratto. Un itinerario; che serve ad un protagonista per vederci finalmente più chiaro.
Il protagonista di "Le chiavi di casa" non è il bravo quindicenne disabile Paolo; quanto un altro "diversamente abile" affettivo, esistenziale, o morale; suo padre.
Che l'ha rifiutato e abbandonato dal primo giorno della nascita. Per riuscire finalmente ad avvicinarlo, amarlo e, soprattutto, a scavare in sé stesso; grazie, anche, allo spaesamento fisico offerto da un viaggio a Berlino, in una clinica ortopedica.
Paolo, parla e deambula in modo sconnesso: ma la sua è una figura che comunica allegria e serenità, in un’apertura fiduciosa e forte alla vita, priva di ogni rancore.
Gianni, il padre si cela dietro ad una gestualità quasi assente, ai confini di un'amarezza che è ormai rinuncia; ma che finirà per mutarsi in imbarazzo, in colpevolezza e, in toccante ammissione di fragilità.
I ruoli si rovesciano, le "filosofie" s'intersecano; sarà il figlio ("Non è una bella cosa che tu pianga…") a trasmettere al padre dignità, energia e coraggio.
Amelio si muove in punta di piedi per parlare di un tema tanto difficile come quello dell'handicap, ispirandosi al romanzo "Nati due volte" di Giuseppe Pontiggia.
Non cerca la commozione facile, e tanto meno vuole scivolare in un facile pietismo nei confronti del ragazzo.
"Le chiavi di casa" rimette così in gioco equilibri e certezze.
Uno dei pregi della pellicola è di riandare al De Sica al quale sembrerebbero appartenere i bambini di certi suoi film; ma di riferirsi alla stilizzazione esistenziale di un Antonioni, ad un'innocenza dello sguardo che ricorda la lezione di Rossellini.
Amelio punta dritto al cuore. Quasi in silenzio; un amore totale che è più forte di tutto.
Nietzsche affermava "Bisogna avere il caos dentro di sé per generare una stella danzante".
E di fatto dal caos muto di Gianni ha preso vita un essere dolce, che in quei suoi passi instancabili e stentati ci appare proprio come una fragile stella danzante a cui viene naturale andarle incontro, con le lacrime agli occhi, e stringerla in un tenero abbraccio e non lasciarla più andare; perché perderla sarebbe come far morire quella parte di se stessi, che, non fa altro che insegnarci a vivere e a cui è lecito consegnare per sempre le chiavi di casa della nostra anima.
Presentato in concorso al 61ma Mostra del cinema di Venezia (2004).
Premiato al Festival Tertio Millennio.
Premiato al Festival di Grinzane 2004.
Presentato al London Film Festival. |