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Sull'incendiaria frontiera della California scoppia la febbre dell'oro nero. E anche un povero minatore d'argento texano Plainview riesce a diventare un petroliere... Una storia che tratta di famiglia, avidità, religione e petrolio, ambientata nel Texas dei primi anni del commercio. |
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Io sono un falso profeta, Dio è una superstizione
Sarà banale, ma non si può che iniziare così a parlare de “Il petroliere”, iniziare dalle parole-simbolo della vendetta di Daniel Plainview su Eli Sunday.
Paul Thomas Anderson, famoso fino ad oggi soprattutto per “Magnolia”, ci porta nella California di inizio secolo, tra villaggi sperduti e distese enormi che promettono argento, petrolio, ricchezza e sviluppo.
Daniel Plainview, un ex-minatore, è adesso un ‘cercatore di petrolio’, il migliore per bravura e per capacità di accattivarsi la fiducia dei piccoli possidenti terrieri. Arriva al Little Boston insieme a H.W., un bambino che porta con sé da quando, neonato, rimase orfano in seguito ad un incidente in un suo pozzo (le norme di sicurezza sul lavoro sono di poco peggiori di quelle che abbiamo oggi in Italia).
E’ ambizioso, non guarda in faccia a nessuno, è un protagonista sgradevole come pochi se ne ricordano. A Little Boston si trova a fronteggiare Eli Sunday, predicatore della ‘Chiesa della terza rivelazione’, diversamente (ma non meno) ambizioso, personaggio se possibile peggiore di Daniel, più antipatico, che riesce a spingere lo spettatore nella difficile impresa di immedesimarsi con il petroliere. L’autorità spirituale contro il potere economico, due (pre)potenze a confronto.
Eli subisce l’arroganza di Daniel e si vendica su chi è sotto di lui, come quando, frustrato, percuote il padre. Daniel è più lungimirante, ma non può fare a meno di vedere il male in tutti quelli che lo circondano e il suo primo cedimento – scherzo del destino – vedrà l’ex-minatore, cercatore di oro nero, scavare una tomba. La propria la sta scavando da molto tempo, da quando ha raccattato il neonato non per un moto di umanità, ma per servirsene nelle trattative, per convincere la gente a fidarsi di lui.
Rimpiangendo il titolo originale (“There will be blood”), bisogna dire che “Il petroliere”, candidato ad otto premi Oscar, merita le attenzioni che sta ricevendo nelle ultime settimane. E’ duro e affascinante allo stesso tempo, con personaggi atroci ma che sprigionano una grande carica magnetica (ci si chiede però come abbia fatto Variety.com a definirlo ‘adorabile’). Daniel Day-Lewis (meritata la statuetta dell'Academy) era un po’ che non lo si vedeva a questi livelli, e tutto il film si regge sulla sua interpretazione; la scena in cui parla ai cittadini di Little Boston condensa lo charme del personaggio e il senso di claustrofobia dato da un mondo che è sotto i suoi occhi ma che gli rimane estraneo (viene inquadrato Daniel che parla, senza mostrare allo spettatore la stanza né la conformazione e la posizione del suo uditorio: in realtà lo spazio attorno a Daniel è grande, ma lo spettatore non se ne accorge).
Paul Thomas Anderson gioca con la ‘macchina-cinema’ nei tempi morti, tra le luci e le ombre sulla spiaggia o richiamando “The searchers” (forse è solo un’impressione, ma il ruolo di ‘searcher’ di Daniel lascia propendere per la semi-citazione).
L’Academy oltre a Daniel Day-Lewis premia la fotografia: anche il pubblico lo premierà. Giustamente. |
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Un'opera straordinaria, poetica. La bellezza delle immagini, la fotografia, la regia, le interpretazioni di Day Lewis e Dano, la colonna sonora firmata da un grande chitarrista, ma soprattutto la capacità di Anderson di raccontare più con le immagini che con le parole. Senza dubbio il mio film preferito.
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