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Tre storie. Tre racconti di persone vere che hanno vissuto e vivono ancora "border". Tre personaggi raccontati dall’occhio spietato e poetico di un grande maestro del cinema italiano quale Citto Maselli. Che cosa spinge alcune persone a precipitare in una vita senza più regole, schemi e senza più un tetto? Il film di Maselli lascia la parola a tre personaggi che scivolano all’improvviso nella più grande povertà e in situazioni estreme per riprendere i loro occhi, il loro sguardo, la loro salita al calvario, per raccontare la bellezza umana di chi sulle proprie spalle porta tutto il fardello degli stenti e della sofferenza. Un film d’arte che racconta la sopravvivenza in qualsiasi caso, anche in assenza di speranza.
Liberamente ispirato al libro "Il nome del barbone" di Federico Bonadonna. |
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“Civico 0”, tre storie reali scelte tra migliaia, sorta di ‘cronache del nuovo millennio’ con un pessimismo se possibile maggiore rispetto alle ultime opere di Citto Maselli, datate ancora anni ’90. Sono passati otto anni, dieci dalle “Cronache del terzo millennio”, ma il cinema di Maselli sembra un discorso continuo: questo film è un ibrido tra documentario – è ispirato al libro “Il nome del barbone” di Federico Bonadonna, raccolta di storie vere – e fiction, con le sue ricostruzioni narrative delle tre storie in esame.
E’ un cinema sociale, senza dubbio: nulla di quanto raccontato suona nuovo agli orecchi dello spettatore, ma fa un grande effetto immergersi nella realtà che siamo abituati a considerare più marginale, nella realtà altrui. Un’ora e venti in una sala cinematografica, non ci si diverte, forse non si impara nulla, ma lo stimolo a riflettere è forte.
Immagini, montaggio, musica: le tre storie, di lunghezza sensibilmente diversa, sono legate da sequenze propriamente documentaristiche che mostrano la Roma odierna (ma il discorso vale almeno per tutta l’Italia) nella sua grande povertà, una povertà fatta di extracomunitari, spesso senza il permesso di soggiorno, ma anche di vecchi autoctoni, di giovani sbandati, di disperati di tutte le età.
La storia di Stella è intensa, raccontata dall’attrice Letizia Sedrick in prima persona; il viaggio a piedi dall’Etiopia fino alle coste libiche, la vita continuamente in bilico in giro per l’Italia, trascinata da Roma ad Avezzano, a L’Aquila, nuovamente a Roma, fino a Torvajanica. Alterne fortune, momenti di serenità e puntuali peggioramenti, nell’impotenza della condizione di immigrata senza permesso di soggiorno. La storia, nonostante ora Stella se la passi meglio, si interrompe nella desolazione di un’auto abbandonata: è una scelta di pessimismo forse poco condivisibile, ma di sicuro impatto.
Le altre due storie mostrano, con meno forza, altri aspetti di questa realtà: Nina è una delle tante badanti romene, irregolare come quasi tutte, ma almeno la storia si chiude con ottimismo; Giuliano è romano, ha la sua vita, ma crolla psicologicamente quando muore l’anziana madre. La sua scelta di vagabondaggio non ha risvolti sociali, e vien da chiedersi il perché di questo episodio in un contesto caratterizzato da un disagio non puramente individuale.
Ad ogni modo bentornato Citto, narratore di realtà che la mentalità borghese preferirebbe far finta di non conoscere. |