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"On dirait que..." e l’immaginazione si mette a funzionare. Invece di giocare ai cow boy e agli indiani, alcuni bambini di età compresa tra gli 8 e i 13 anni, figli e figlie di medici, agricoltori, poliziotti o droghieri, giocano davanti alla telecamera ad interpretare il mestiere dei genitori. Non vi è nulla di scritto e niente viene ripetuto: improvvisano seguendo i loro desideri, presentandoci così il mondo come loro lo comprendono o lo percepiscono. Storie di vita vissuta, ascoltate o "viste alla televisione"? Un tuffo nella fantasia o una riproduzione della realtà? Attraverso la loro percezione di questi mestieri, della loro difficoltà, delle loro gioie e delle loro pene, i bambini ce la dicono lunga su... noi, gli adulti! |
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Diciamo che… Facciamo che… Giochiamo a… Il gioco preferito dai bambini e quello della vita: imitare i grandi, preferibilmente i genitori, nelle loro azioni, finendo puntualmente per ricalcarne anche i comportamenti.
Françoise Marie filma, senza intervenire in alcun modo, dei gruppi di bambini che organizzano e poi mettono in atto il loro gioco tra finzione e realtà; a queste parti, preponderanti, intreccia le interviste agli stessi ragazzi a proposito del lavoro dei loro genitori e di quel che vorrebbero fare in futuro. Il primo episodio, nella campagna de Limousin, è affascinante, rapisce immediatamente lo spettatore che si sente subito parte del gioco; la scena dell’esercizio per far nascere un vitello è di una leggerezza e di una poeticità che non si ricorda nel cinema degli ultimi anni. Ma non basta: può sembrare banale dirlo, un bel gioco dura poco. Allevatori, dottori, gendarmi, negozianti, insegnanti, ristoratori, circensi: ogni episodio ripete quello precedente, la sorpresa – se di sorpresa si può parlare – nel rendersi conto di quanto i bambini capiscano la realtà nella sua semplicità, quello che i grandi tendono invece a complicare, è svanita al secondo, o al massimo al terzo dei sette episodi.
Il gioco che lega ognuno di questi gruppetti è il seguente: mettere in ordine, in base all’utilità, i sette mestieri di cui si parla; lo scopo è far sì che la società funzioni bene.
Nell’impossibilità di consegnare il mondo ai bambini e di farlo amministrare a loro (tant’è che alcuni di loro giungono alla conclusione che i mestieri sono tutti ugualmente importanti), “On dirait que…” rimane un gioco meno divertente e meno utile di quello che rappresenta. Quando alla fine “si dice che… per oggi basta così”, il pensiero dello spettatore è che per domani non si inizierà nemmeno a giocare. Quello del giocatore è impossibile a dirsi, probabilmente è andato a letto, stanco, dopo la prima ora di gioco. |