Con “L’età barbarica” (“L’età delle tenebre”, il titolo originale) Denys Arcand chiude la sua trilogia, iniziata venti anni fa con “Il declino dell’impero americano” e proseguita, con grande successo, con “Le invasioni barbariche” (al quale ammicca il titolo italiano, oltre alla locandina smaccatamente uguale).
L’età delle tenebre è il Medio Evo (il senso della trilogia si perde, con la pessima traduzione del titolo) e lascia intuire un possibile futuro più luminoso; resta il fatto che le tenebre ci sono oggi, e il Medio Evo non è l’oasi fuori dal mondo nella quale si ritrova Jean-Marc corteggiando Béatrice, ma la vita quotidiana, un lavoro frustrante e inutile, una famiglia virtuale, la negazione dei rapporti affettivi, un’ipertecnologizzazione che ti sprofonda nella solitudine. Un mondo vuoto, fatto di non-parole, di incontri per la motivazione dei dipendenti, di orecchie rivolte sempre da un’altra parte. E di sogni, per fortuna. Quelli di Jean-Marc sono una costante fuga dalla realtà per gettarsi tra le braccia della ‘star’ Diane Kruger, per concedersi fugaci rapporti con una giornalista, goduti sempre nei momenti di massima affermazione personale. Per dare sfogo ai suoi sogni erotici, la curiosità per la bella – e solidale – collega lesbica, il dominio e l’umiliazione di Carole, il suo capo. Ma soprattutto, per sentirsi ascoltare una volta tanto, per sentirsi chiedere da Diane ‘come sta tua madre?’, mentre la modella gli versa da bere. Un bisogno, non una fantasia, in un’età – quella in cui non si è ancora invecchiati, ma non si hanno più aspettative per il futuro – delle tenebre.
C’è un’amarezza di fondo nella critica a 360° della società, dalle leggi che la regolano alle usanze che la peggiorano, un’amarezza che non scompare mai nell’ora e tre quarti di divertimento del film: un divertimento che nasce fin dalla costruzione, un assemblaggio di volti noti per il pubblico televisivo canadese capeggiata dal comico Marc Labrèche, e continua con svariate citazioni da altri film e col frequente passaggio dalla realtà alla fantasia, saldamente ancorata al punto di vista prettamente maschile di Jean-Marc.
Diane Kruger che si lamenta di essere nell’immaginario dei mediocri è impagabile. |