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Da un racconto di Mircea Eliade, grande storico delle religioni, il film che rompe il decennale silenzio di Coppola e che racconta, negli anni che precedono la II guerra mondiale, la rocambolesca storia del rumeno Dominic Matei, anziano professore universitario che dopo esser stato colpito da un fortissimo fulmine, invece di morire ritorna giovane... |
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Dieci anni dopo “L’uomo della pioggia”, Francis Ford Coppola torna alla regia, presentando in anteprima mondiale alla Festa del Cinema di Roma 2007 la sua ultima opera: “Youth without youth”.
Una domenica di Pasqua un fulmine centra in pieno l’anziano professore rumeno Dominic Matei, splendido Tim Roth. Impossibile sopravvivere ma sbagliato anche sottovalutare l’impossibile. Dominic non muore ma si trasforma, ringiovanendo di almeno quarant'anni.
Chi muore a Pasqua va dritto in Paradiso mentre chi nasce entra direttamente nel simbolismo della resurrezione; quella reincarnazione fondamentale nel romanzo omonimo di Mircea Eliade da cui nasce il film, quanto intensa e trasognante, quasi fino all’inverosimile nella regia di Coppola. Comunque maestro nel trasmigrare anime ed emozioni trascinando lo spettatore in un delirio faustiano; un percorso all’indietro nell’alba dei tempi, fin quasi al disarticolato linguaggio originale. Una sorta di mito primitivo dove risiede il Graal dell’identità umana che dovrebbe svelare come inizio e fine possano coincidere e come l’uomo sia solo una sotto proiezione, con reali valori mai sfruttati. L'argomento era uno dei miti dei linguisti fin dal primo ‘900, costretti ad abbandonare questi studi proprio perché ritenuti pericolosi dalla Società Internazionale di Linguistica ma poi, dopo la guerra, ripresi in altra chiave da alcuni scienziati nazisti che dopo innumerevoli esperimenti avevano intuito, forse scoperto, le possibilità elettromagnetiche dell’uomo, in grado di assimilare grosse quantità di energia e da questa la possibilità di ricavare un potere quasi alieno. Un malsano sogno di potenza, vittima dell’epoca, ma forse anche un’intuizione metafisica che il tempo, ripulito delle sue illogiche nefandezze, probabilmente riconsegnerà come geniale.
Coppola sa di avere tra le mani un argomento pericoloso, nasconde ambiguità, scotta proprio perché fonde illogico con scienza, anima con morte.
Quello che il grande scrittore tedesco Goethe chiese poco prima di morire, Dominic Matei lo riceve in dono. Quel fulmine gli toglie improvvisamente il peso degli anni e lo dota di poteri dall’uomo mai conosciuti e sfruttati.
La regia mostra senza particolari intrighi visivi, ma costruisce una sottotrama psicologica che solo a prima vista appare dimessa e sembra non incidere; ma cresce continuamente, sfrutta il fascino dell’immedesimazione solo apparentemente nascosta dalla classicità dei percorsi stilistici; offre una visione sofferta di un superuomo moderno, in grado divinamente di rinascere, annullando per contrappasso diabolico tutto quello che vive attorno a lui. Una sorta di vampirismo moderno, che invece del sangue sradica energia.
C’è un’esistenza circolare e un tempo che fugge, categorie che Coppola ha compreso e vuole identificare, mostrare e offrirci. Spesso però rischia l’esilio dello spettatore che resta turbato e sferzato da lingue impossibili, Sanscrito, Babilonese, Antico Egizio; vive la reincarnazione come materia sublime e dannata al tempo stesso; si trova avvolto da un percorso diabolico e angelico che mostra vita, morte e il tempo umano come una suggestione superabile.
Qualcosa poteva essere diverso però, questo sì. A volte si perde e il film non può essere considerato un capolavoro ma non bisogna neanche far l’errore di confonderlo come normale. Siamo in presenza di un regista illuminato e confuso dalla sua stessa illuminazione che crea un film di pura letteratura, probabilmente da vedere più volte per comprendere e metabolizzare gli strati sotterranei e le innumerevoli suggestioni che continuamente trasudano. |
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Un film superbo, una messa in scena superba. Immagini che sono fotografie e che ci ricordano che prima di tutto il regista, come Coppola, fa un film per sé stesso , poi per l'arte cioè per lo spettatore. La storia è assai intrigante fonde mistero e "fantascienza" ma forse nella seconda parte, dall'incontro con Veronica/Laura in poi, rallenta troppo il ritmo e confonde. Sicuramente i riferimenti letterari sono numerosi e non tutti di immediata comprensione ma anche solo una superficiale visione ci fa capire quanto cinema ci sia in questo Coppola. Suggestioni, immagini rovesciate, bianco e nero, linguaggio nel linguaggio e un cast di livello.
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